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Se anche il Milan dell’anti-ultras Maldini si presta ai ricatti del tifo e “sacrifica” Donnarumma

I giornali raccontano le “lacrime” del portiere umiliato a Milanello “per ordine pubblico”. Non l’imbarazzo di chi non si è mai piegato: né quando giocava né oggi

Se anche il Milan dell’anti-ultras Maldini si presta ai ricatti del tifo e “sacrifica” Donnarumma

Il dettaglio soap del gigante miliardario in lacrime davanti agli ultras è un innesco. Serve giornalisticamente a drammatizzare una vicenda che nel calcio è una prassi. Il faccia-a-faccia coi tifosi incazzati per (aggiungere motivazione a piacimento) fa parte della grammatica del pallone, come la “partitella in famiglia del giovedì” o la “seduta di scarico”. Nel caso di specie è Gigio Donnarumma il campione piangente, costretto a prestarsi al cazziatone di non meglio identificati esponenti del tifo organizzato – i quali, par di capire, sono sopravvissuti organizzatissimi ad un anno intero di divani e distanziamento, imperituri. Il portiere del Milan è stato convocato dalla Digos a Milanello, e piazzato fuori ai cancelli a parare le rimostranze di un po’ di gente evidentemente titolata a farsi portavoce di un malcontento “popolare” (ci tengono, il popolo è giustificativo implicito anche del più ridicolo ricatto sociale). “Per ordine pubblico” è una formula che apre le porte a molte figuracce.

Niente di che. I tifosi del Manchester United, il giorno dopo, avrebbero sfondato i cancelli di Old Trafford e fatto rinviare la partita col Liverpool protestando contro i ricchi e avidi proprietari del loro stesso club. Nella riduzione italiana dello stesso concetto Donnarumma è costretto ad abbassarsi al dialogo per questioni molto più spicciole: colpevole di essersi intrattenuto sorridente col suo ex amico Reina dopo la sconfitta con la Lazio (chiaro indice di strafottenza, l’allegria), e ancor peggio di non aver ancora firmato il rinnovo del contratto a cifre che il tribunale della plebe reputa più che adeguate. Tra l’altro il Milan ha la coda di paglia: è fra i tre club ribelli italiani che avevano fatto comunella nella Superlega. Se a Manchester fermano il campionato, a Milano si fanno andar bene le ramanzine al proprio portiere (ancora per poco). “Fai una cosa, con la Juve non giocare”, gli intimano. Perché la Juve potrebbe essere la squadra pronta a pagargli il prossimo ingaggio da 12 milioni l’anno, e quindi non sta bene. Hanno un’etica, una rettitudine inscalfibile, i tifosi.

Le lacrime, non sappiamo quanto artificiali, uniscono come i puntini mille di queste imboscate: ne è pieno il calcio italiano, ci sono finiti quasi tutti i capitani, rincorsi sui bus, sotto casa, svegliati nel pieno della notte in ritiro. Ritratti contriti mentre energumeni di vario genere gli spiegano come si campa. In un consesso civile è una violenza, ma quello è un ambiente a “ordine pubblico” limitato: il quieto vivere alimenta l’inquietudine.

Il Milan, però, ha una sua specificità, che la rende sensibile all’argomento. E’ la società di Paolo Maldini. L’anti-ultras verticale che l’aneddotica ancora ricorda a Malpensa a chiamare “poveri pezzenti” i tifosi fumanti dopo la disfatta di Istanbul. Gli stessi che gli rovineranno l’ultima partita a San Siro, fischiandosi vicendevolmente mentre srotolavano gli striscioni dell’ignominia. Li riportiamo per dovere di cronaca e malcelato sadismo:

“Per i tuoi 25 anni di gloriosa carriera sentiti ringraziamenti da chi hai definito mercenari e pezzenti”

“Grazie capitano: sul campo campione infinito ma hai mancato di rispetto a chi ti ha arricchito”

Dolente, Maldini si spiegò così (non avendo tra l’altro alcuna voglia di spiegarsi, né pensando di doverlo fare):

 “Avevamo giocato una finale stupenda, nettamente meglio del Liverpool. All’aeroporto siamo stati contestati: dovete chiederci scusa. Io giocavo da una vita e dovevo chiedere scusa ad un ragazzo di 20 anni? E poi scusa di cosa? Di aver perso una perso una partita giocata in modo straordinario? Per inciso, quella sera il Liverpool ci surclassò a livello di tifo”.

Quando il Corriere della Sera esce domenica mattina con la cronaca del vertice – “le lacrime di Gigio”, tipo l’ “occhio della madre” della Corazzata Potemkin – il primo istinto è domandarsi: “e Maldini dov’era?”. Maldini, infatti, prenderà posizione subito dopo, mettendo un punto alla farsa: “Basta così, nessuno al di fuori del Milan può decidere chi gioca e chi rinnova”.

Ma è evidente l’imbarazzo. La statura di Maldini, anche in ambito societario, è tale da risentire d’ogni sfregio alla sua integrità d’uomo marziale. Che ad un suo giocatore venga imposto di sacrificarsi per l’ordine pubblico prestando il fianco allo sfogo dei tifosi dev’essere stato per lui intollerabile.

Maldini è emerso dagli equivoci del primo anno con Leonardo e Giampaolo imponendo quasi una dittatura morale. Ci ha messo la faccia, come si dice, e s’è speso in credibilità. A Maldini persino gli ultras, i “poveri pezzenti” che si illudevano di arricchirlo, riconoscono – per negazione  – carisma e rettitudine. Che a uno così debba passare sotto il naso l’adesione alla Superlega, per ritrovarsi a dover gestire in tv la topica anche sua personale ammettendo di non saperne nulla, è paradossale. La questione Donnarumma è un accessorio, ma fa decisamente pendant.

L’episodio minuscolo di Donnarumma tradisce il momento, è un paradigma. I club, la stampa, la critica, ripetono a mitraglia che “il calcio è dei tifosi”. E i tifosi, che hanno smarrito anche il senso apparente di questo possesso, si prendono ora qualche piccola soddisfazione. Gli stadi sono in riapertura, vuoi che non si torni a quelle belle intimidazioni d’una volta? Con buona pace di Maldini, che mandava a quel paese i tifosi quando davvero il calcio era ancora roba loro.

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