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Il Rapporto Deloitte dà ragione a De Laurentiis

Il club azzurro passa dal 20° al 19° posto nella classifica dei ricavi. Ha ragione quando dice che nessuna azienda napoletana ha fatto meglio

Il Rapporto Deloitte dà ragione a De Laurentiis
foto Ciambelli

Mentre stampa nazionale e locale mettono in scena il mito dell’eterno ritorno, dimostrando la fondatezza degli assunti di Mircea Eliade (a proposito di ritorni, non ho letto i nomi di Pesaola, Chiappella e perché no, anche Mr. Garbutt?), mi è capitato di accedere al rapporto ultimo Deloitte Football Money League.

Dietro il pesante titolo, c’è l’autorevolezza di un’azienda mondiale di consulenza fiscale e amministrativa e la certezza di una metodologia internazionale, collaudata e in uso da decenni in settori economici più tipici, da cinque anni arrivata anche al pallone. L’immersione nel ponderoso documento è stata fonte di grandi sorprese e numerose osservazioni che mi piace condividere con gli amici de Il Napolista.

Deloitte 1

Deloitte 2

L’etichetta conduce subito in medias res, “Money League”, il campionato dei soldi; in sostanza le prime 20 squadre europee di tutti i campionati, anche quelli considerati minori, classificate in ordine di ricavi conseguiti (adeguatamente spiegati e commentati) nella stagione 2019 – 2020, allungata ad agosto per le note vicende sanitarie. La sola esistenza della quinta edizione del rapporto certifica l’ingresso del calcio nel mondo del business; sconvolgimento per chi ricorda i palloni di cuoio che sotto la pioggia e nei campi fangosi pesavano quintali, normalità per gli youtuber avvezzi a confrontarsi con metriche diverse dalla colla mancante nelle celline Panini difettose.

La classifica delle prime 20 squadre definisce una gerarchia pienamente esistente e soprattutto legittimata, ma alla quale i tifosi (quelli che non capiscono niente di calcio) non pensano; abbastanza ma non totalmente sovrapposta con il ranking UEFA per squadre.

Ad un primo sguardo in generale, che volutamente non vuole approfondire, emerge una sorpresa interessante, forse perfino piacevole. Il calcio di altissimo livello sembra essere fenomeno non collegato all’importanza che le capitali europee ricoprono nella geografia, nell’economia e nella politica di ogni stato, con l’eccezione di Madrid. Il PSG è solo 7°; Londra vanta tre squadre, ma in posizioni non di vertice (in questo business, essere tra i primi conta più che in altri, per vendere meglio i propri diritti televisivi, di immagine e il merchandising) e soprattutto la strapotenza finanziaria della City, forse non lontana da divenire una Singapore sulla Manica, non appare perfettamente rappresentata.

Perfino la Germania, pur contando sul 3° posto del Bayern, ha un dimensionamento di gran lunga inferiore alla propria grandezza economica, dato che due squadre nelle prime 20 sono in fondo due provinciali di lusso e l’Eintracht Frankfurt, 20°, ha vinto nella sua storia meno del Napoli.

Eccezione interessante in questo raffronto con i mondi che più contano, l’ingresso in questo nucleo ristretto dello Zenit di San Pietroburgo, facile conquistatore dei tornei nazionali, assente dalle ribalte che valgono in Champions, ma emanazione diretta di Gazprom e del potere politico; strabilianti i 50 milioni di ricavi in più rispetto al Napoli (ma dipende da una chiusura dei conti al 31.12.2019, per la diversa stagionalità del campionato russo, quindi un fatturato non ancora perturbato dal virus), come anche la loro distanza non eccessiva dai 291 dei bauscia nerazzurri.

Troppo lontano il sistema russo dal nostro per esprimere un giudizio compiuto, ma il caso Zenit pone un interrogativo, potenzialmente valido per tutti; può lo stadio di proprietà più uno sponsor di dimensione colossale, in un settore cruciale, forzare gerarchie sportive consolidate? (Zenit, 27° nel ranking UEFA)

Al di là dell’eccezione pietroburghese, la sintesi del ragionamento è che il pallone ha una sua specificità, per ora autonoma e non condizionata completamente dai potentati economici e politici; come tifosi e appassionati, possiamo sperare ancora che la bellezza dello spettacolo calcistico sia legata dall’incertezza del risultato e dove il più piccolo, il più debole possa trionfare, o meglio il Ciuccio possa volare (è già avvenuto, ma, l’ultima volta è stato nella primavera 1990…)

Ma la sorpresa gradita, più che gradita, è scoprire che la SSC Napoli entra in questo ristretto raggruppamento di aziende calcistiche e relativamente all’Italia, condivide il privilegio solo con la Juventus, pianeta piccolo della diversificazione nello spettacolo di un importante conglomerato mondiale e con i bauscioni che, in osservanza al nome, hanno azionisti lontani e oscuri (non di pelle!) da quasi un decennio. Ancora meglio; siamo entrati in questa élite nel report 2018 – 2019 e abbiamo perfino recuperato una posizione, rispetto all’anno precedente, unici nel lotto.

Considerando il differenziale di vittorie in campo e la potenza delle rispettive proprietà è un successo, maggiorato dalla soddisfazione di scoprire che la squadra più antica di Milano, langue in 30° posizione, all’ultimo posto del segmento 21° – 30°, censito ma non commentato da Deloitte, non dissimilmente dalle canzoni al 9° e 10° posto della Hit Parade del leggendario Lelio Luttazzi, annunciate e non suonate. Della Roma (era 16°, un anno fa; sono tornati i tempi cupi?) e della Fiorentina amerikane, della Lazio rispettosa delle regole (un gemellaggio con gli ergastolani?) e altre, non sappiamo nulla; e così le lasciamo al loro posto, solo nel ranking UEFA (quelle che ci sono; lì il Napoli è 20°).

Altro? Si; questa graduatoria è il miglior avvocato di ADL, quando afferma che nessun’altra azienda napoletana ha saputo fare meglio di lui, a livello internazionale, negli ultimi 15 anni. Da non napoletano che nella città preferisce la villa di Pollione con teatro vista mare incorporato ai ricorrenti miracoli sanguinosi (o sanguinolenti?), posso solo permettermi di segnalare alle Istituzioni cittadine, pubbliche e private, il traguardo raggiunto e soprattutto una maggiore considerazione dell’importanza che la SSC Napoli può ricoprire nell’economia della città.

Esempio; se ADL volesse e trovasse un socio, anche straniero, disponibile ad investire per costruire uno stadio decente, (in città!), riceverebbe sostegni adeguati all’importanza, anche simbolica del progetto? Questo per il mondo delle Istituzioni; poi c’è il macrocosmo di noi tifosi, che non capiamo niente di calcio, ma doniamo la nostra passione e i nostri migliori sentimenti; al riguardo, il rapporto Deloitte appare prodigo di informazioni, con la citazione della numerosità di followers, sui principali social network, più YouTube (peccato, Tinder non c’è… ). Anche su questo, mi piacerebbe condividere qualche pensiero e qualche numero con i lettori de Il Napolista, fiducioso che tra loro tutti sappiano capire, come lo sfruttamento intelligente dei social possa trasformarsi in una fonte di ricavi.

Forse, è solo la modernizzazione del sole che appare a Dudù e lo rassicura sulla benevolenza del santo e quindi, anche l’acquisto di Eusebio per vincere la Coppa dei Campioni…

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