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Le inspiegabili scelte di Gattuso

La difesa a tre è stato un non-sense. Con Ghoulam, il Napoli ha giocato in maniera logica. L’allenatore ha fatto regredire la squadra

Le inspiegabili scelte di Gattuso

Le scelte inspiegabili

Quello che è successo nel primo tempo di Napoli-Granada è del tutto inspiegabile. Ci riferiamo alle scelte fatte da Gennaro Gattuso per quanto riguarda, nell’ordine: la formazione iniziale, le spaziature in campo e i principi di gioco adottati dalla sua squadra. Per ricostruire il tutto, ovviamente, bisogna partire dal contesto: il Napoli è sceso in campo allo stadio Maradona per ribaltare il 2-0 incassato una settimana fa a Granada. Il regolamento Uefa prevede che, per compiere questa impresa, una squadra debba segnare almeno due gol.

Per tutta risposta a questa necessità, l’allenatore del Napoli ha deciso di inserire dall’inizio tre difensori centrali, parliamo ovviamente di Rrahmani, Maksimovic e Koulibaly; di schierare Elmas – che sulla carta sarebbe una mezzala/sottopunta/esterno offensivo – nel ruolo di laterale a tutta fascia, o quinto di centrocampo; di utilizzare Insigne e Politano come esterni di un tridente offensivo che prevedeva Zielinski come punta centrale ma un po’ arretrata. Come si vede chiaramente dal grafico posizionale di Whoscored, sotto, il Napoli nel primo tempo ha giocato con un 3-4-1-2 tutto sbilanciato a sinistra.

Le posizioni medie del Napoli nel primo tempo.

In questa rubrica abbiamo sempre cercato di spiegare come la disposizione in campo, volgarmente detto modulo, sia solo una parte del discorso tattico. E non è neanche la parte più importante. Perché, per esempio, anche l’Atalanta gioca con un modulo simile a quello utilizzato dal Napoli ieri sera, solo che esiste un’enorme differenza tra quello che fa di solito l’Atalanta e quello che ha fatto il Napoli ieri sera nei primi 45′. Ed è stato proprio il Napoli a mostrare questa differenza, manifestando quelle che (forse) erano le intenzioni di Gattuso dopo pochi secondi di gioco, in occasione del gol di Zielinski.

Un inizio perfetto, in teoria.

La verticalizzazione (sbagliata) di Koulibaly ha attivato il pressing alto di Bakayoko sulla seconda palla gestita malissimo da Eteki, così il Napoli ha recupero velocemente il possesso e ha potuto costruire una ripartenza immediata, in campo aperto, con Zielinski; a quel punto, i due attaccanti si sono aperti verso l’esterno – come fanno spessissimo Zapata e Muriel nell’Atalanta – in modo da lasciare libero lo spazio centrale al polacco; Zielinski, a sua volta, ha aggredito bene il campo e ha fatto valere la sua qualità, dribblando l’avversario diretto e scaraventando il pallone in porta.

Ecco, se il Napoli avesse continuato a giocare così, non ci sarebbe stato nulla da eccepire. Avrebbe (finalmente) cercato di applicare un piano partita, probabilmente valido. Diciamo probabilmente perché non abbiamo la controprova, ed è proprio questo il problema. Dopo questo gol, che di fatto ha riaperto subito i giochi per la qualificazione, la squadra di Gattuso è letteralmente scomparsa. Non solo non ha ripetuto i meccanismi che hanno determinato questa azione decisiva, ma ha smesso di giocare del tutto.

Basta leggere i dati per capire come siano andate le cose, come in questo caso l’utilizzo della locuzione smettere di giocare sia del tutto realistica: dal terzo minuto fino all’intervallo, il Napoli ha tirato una sola volta nello specchio della porta, tra l’altro su calcio da fermo – la splendida punizione di Insigne. Inoltre, 2 delle altre 3 conclusioni tentate dagli azzurri sono arrivate tra il sesto e l’undicesimo minuto di gioco.

Il Napoli non ha idee

È qui, a questo punto, che possiamo definire inspiegabili le scelte di Gattuso. Perché se il Napoli fosse stata o fosse una squadra in grado di mantenere l’approccio visto nei primissimi minuti di gioco, cioè nell’azione del gol di Zielinski, sarebbe bastato proseguire in questo modo. Ma se lo stesso Gattuso ha sempre detto – e dimostrato, attraverso le sue scelte – che il Napoli si esprime meglio quando può palleggiare, quando può risalire il campo con le famose catene laterali, attraverso un possesso armonico, per quale motivo ha schierato una difesa a tre, due esterni a tutta fascia e due centrocampisti centrali? In effetti dopo il gol il Napoli ha ricominciato a muovere il pallone senza urgenza, in orizzontale, con calma olimpica. È facile difendersi contro una squadra che gioca in maniera così lenta e prevedibile.

E qui torniamo di nuovo al discorso differenziato tra modulo e principi di gioco: il 3-4-1-2 può essere un modulo da interpretare in chiave verticale/aggressiva, ma può anche essere utilizzato come modulo di possesso. Tutto dipende dai giocatori che hai a disposizione e dagli obiettivi tattici che vuoi raggiungere. E qui ci chiediamo: quali erano gli obiettivi tattici del Napoli per la partita contro il Granada?

Due momenti della costruzione bassa del Napoli in cui la squadra di Gattuso può disporre di sette uomini nella propria metà campo. Quanta velocità occorrerebbe, nella trasmissione di palla, perché il Napoli possa creare un’azione pericolosa? Tantissima, esatto.

Ci poniamo da diverse settimane le stesse domande, quindi ormai la risposta ci sembra chiara: il Napoli non ha obiettivi tattici, quindi non ha idee, a parte quella di costruire l’azione dal basso. Di per sé, non sarebbe neanche un’ambizione malvagia, se non fosse che – come si vede chiaramente nei frame appena sopra – la velocità nel muovere il pallone sarebbe necessaria affinché il possesso armonico e insistito possa essere realmente efficace, pericoloso. E poi, ci vogliono i giocatori adatti per farlo. Per farlo bene. Nel caso del Napoli, inserire un terzo difensore centrale – che sia Maksimovic, Rrahmani o Koulibaly – non aggiunge nulla alla fase di costruzione. Anzi, non fa altro che intasare gli spazi davanti a Meret, chiamare il pressing avversario e rallentare ancora di più la manovra.

Al Granada, dopo il gol subito, è bastato riorganizzarsi e iniziare a tenere il pallone (la squadra spagnola ha avuto un possesso del 53% dal terzo fino al 40esimo minuto) per dominare completamente il suo avversario. E, come al solito, la perdita del controllo della gara ha portato all’errore di lettura in fase difensiva, quindi al gol del Granada. Il colpo di testa di Montoro è frutto di una pessima spartizione dell’area di rigore tra Maksimovic e Rrahmani, ma in realtà era da diversi minuti che la squadra andalusa aveva chiuso il Napoli nella sua metà campo.

Il momento più significativo è la respinta sul primo cross, quando il Napoli non riesce a organizzare la pressione per provare a riconquistare il pallone.

Nel postpartita, Gattuso ha detto che questo gol subito è «da polli». Ovviamente ha ragione, è impensabile che due difensori di Europa League presidino la propria area di rigore con questa superficialità. Ma la realtà è molto più ampia: come ormai avviene da mesi, il Napoli ha subito questo gol perché non sapeva cosa fare quando aveva il possesso del pallone. Del resto il calcio, soprattutto quello dell’era moderna, è un gioco sequenziale, in cui si deve saper attaccare per poter difendere, e viceversa. Quando invece una squadra non ha gli strumenti per risalire il campo, tende a dis-ordinarsi, a perdere equilibrio. E il Napoli è vittima di questa situazione da tantissimo tempo, ormai.

L’intensità può essere una foglia di fico per coprire le mancanze tattiche, soprattutto quando si hanno a disposizione giocatori di qualità – come nel caso dell’azione che ha portato al gol di Zielinski – ma anche in questo la squadra di Gattuso è sempre apparsa carente. Certo, quest’ultimo punto può essere una conseguenza  del calendario fittissimo e degli infortuni e alle positività al Covid che falcidiano la rosa azzurra da novembre. Solo che questi imprevisti non possono essere addotti come giustificazioni, per un semplice motivo: il calendario fitto e gli infortuni e le positività al Covid sono dei problemi che riguardano tutte le squadre in questa stagione.

Il secondo tempo

Tutte queste nostre letture, visioni, considerazioni, prendono ancora più forza alla luce di quanto è successo nel secondo tempo. È bastato che Gattuso spostasse una sola pedina – Ghoulam al posto di Maksimovic – perché il Napoli tornasse a giocare in maniera quantomeno logica. La squadra azzurra si è schierata prima con un 4-4-2 estremamente scolastico, quasi banale nella sua linearità, ma che ha reso subito più fluida e veloce la manovra; poi l’ingresso di Mertens ha determinato il passaggio al 4-3-3 in fase offensiva.

In alto, il 4-4-2 prima dell’ingresso di Mertens, con Elmas largo a sinistra, doble pivote Fabián-Bakayoko, Zielinski a destra e Politano-Insigne in avanti; sopra, il 4-3-3 con Insigne e Politano alle spalle di Mertens.

I numeri confermano il cambio di passo: nella ripresa, la squadra di Gattuso ha tentato per 16 volte la conclusione, e 5 di questi tiri sono entrati nello specchio della porta. Non è che si siano viste delle trame molto sofisticate, ma di certo si è percepita un’intensità diversa, maggiore, rispetto al primo tempo. Faouzi Ghoulam, tra tutti, ha preso il comando delle operazioni: a fine secondo tempo, è risultato il giocatore con il maggior numero di palloni toccati (59), che ha tentato più volte il cross (6) e che ha anche scoccato il tiro più pericoloso dopo il gol di Fabián Ruiz – parliamo ovviamente del colpo di testa su corner nei minuti finali.

Proprio la buonissima prestazione di Ghoulam, nel contesto di un Napoli comunque più propositivo, ci spinge a a porci dei nuovi interrogativi sulle scelte fatte da Gattuso nel primo tempo. Perché la sua squadra non ha iniziato a giocare fin da subito come ha fatto nella ripresa? È un discorso tattico, che riguarda la formazione titolare e le spaziature, ma anche l’urgenza nell’attaccare gli avversari. Come nel secondo tempo contro il Genoa, il Napoli ha preso a macinare gioco solo a risultato ormai compromesso. Certo, non si è trattato di un gioco brillante, ma ripetiamo: l’intensità – intesa come corsa continua ma anche come insistenza nell’azione offensiva – può essere uno strumento importante quando mancano riferimenti tattici. E invece da tempo il Napoli gioca in maniera impaurita e frenata, come se dovesse assorbire la crisi, piuttosto che affrontarla o gestirla.

Tutti i palloni giocati da Ghoulam, su tutta la fascia laterale. Come quando era uno dei migliori terzini sinistri al mondo.

Il gol di Fabián Ruiz è la rappresentazione plastica del cambiamento avvenuto. L’azione del Napoli parte come al solito da un difensore centrale, ma poi il pallone viene mosso velocemente, in verticale, verso Zielinski; il polacco strappa subito, gioca un altro passaggio in avanti verso Insigne, e a quel punto la fase difensiva del Granada – una squadra che in questo caso è poco reattiva a scappare all’indietro dopo aver fallito la prima pressione – è già compromessa Fabián Ruiz ha addirittura il tempo per sbagliare il controllo, prima di tirare – male – e battere il portiere. Nessuna trama particolarmente ambiziosa, semplicemente due passaggi fatti con velocità, in verticale.

È un gol semplice, a patto di giocare ad alta intensità

Queste immagini sono una sentenza inoppugnabile: è stato il Napoli a buttare via la qualificazione contro un avversario di livello medio. Per non dire mediocre. Non diciamo che la squadra di Gattuso avrebbe potuto/dovuto giocare sempre in questo modo, ma è evidente che sarebbe bastato alzare – e neanche tanto – l’intensità e il ritmo di gioco per poter creare maggiori difficoltà al Granada. Anche nel match d’andata, del resto, un segmento del secondo tempo era stato affrontato con maggior brio da parte degli azzurri. E le occasioni da gol erano arrivate, anche se magari non erano state proprio limpidissime.

A corollario di queste sensazioni, ci sono i numeri del Granada che chiudono il cerchio dell’analisi: nel secondo tempo della gara di ieri, contro un Napoli propositivo e non dimesso, almeno dal punto di vista mentale, la squadra andalusa ha tirato una sola volta verso la porta avversaria. Il tiro in questione, scoccato da Kenedy – tra l’altro da fuori area – è stato anche respinto da un difensore azzurro. Un’altra dimostrazione: attaccare, soprattutto quando sei la squadra che ha maggiore qualità, è il miglior modo per difendersi. Farlo con un piano tattico strutturato sarebbe anche meglio, ma è evidente che questa sia una pretesa eccessiva per questo Napoli in questo momento storico, in questo momento della stagione.

Conclusioni

È un peccato che le scelte inspiegabili di Gattuso abbiano privato il Napoli della possibilità di passare il turno. Perché la sensazione è proprio questa: la squadra azzurra non è stata messa nelle condizioni di offrire quel poco che aveva a disposizione, né nel match di andata né in quello di ritorno, in nome di un atteggiamento difensivo e di gestione che è incomprensibile a certi livelli. E che resta incomprensibile pure con tutti gli infortunati del momento, le attenuanti del caso. E del mondo.

Aurelio De Laurentiis deve ragionare su questo, per il futuro ma anche in vista della corsa per l’ultimo obiettivo rimasto in questa stagione non-sense. Sapevamo da tempo che una rosa costruita in maniera illogica avrebbe costretto il Napoli a essere una squadra non identitaria, senza riferimenti tattici fissi, una squadra la cui forza in ogni partita è uguale alla somma algebrica tra il valore individuale dei giocatori scelti e la loro condizione fisico-psichica. Più le intuizioni estemporanee dell’allenatore.

In un contesto del genere, Gattuso avrebbe potuto/dovuto trovare queste intuizioni fornendo stimoli tattici sempre nuovi all’ambiente e ai suoi giocatori. O al massimo avrebbe potuto/dovuto gestire la situazione senza fare troppi danni. Evidentemente, però, non era e non è pronto per questo tipo di lavoro, e così e a un certo punto le sue scelte hanno finito per penalizzare il Napoli. Per farlo regredire. Fino al punto da trasformarlo in una squadra che ha bisogno di lavorare per cinque o sei giorni alla settimana su determinati concetti, sempre gli stessi (costruzione dal basso, catene laterali, ecc.), per poter essere efficace. Difficile, anzi impossibile pensare che De Laurentiis intendesse questo quando ha presentato Gattuso promettendo «il ritorno della grande bellezza». Oggi più che mai, quelle parole hanno un suono e un’eco davvero beffardi.

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