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Gattuso non è un valore aggiunto per il Napoli

I dati vanno analizzati: solo 3 tiri del Napoli sono stati in area di rigore. L’allenatore sta rivivendo gli stessi problemi che ha avuto al Milan

Gattuso non è un valore aggiunto per il Napoli

Il vero dato dei tiri

Il Napoli visto a Genova ha offerto qualche segnale positivo, soprattutto rispetto al piattume delle ultime settimane. I numeri non mentono: la squadra di Gattuso ha tentato 24 conclusioni verso la porta di Perin, e ne ha concesse solo 4 agli avversari. Il miglioramento manifestato dagli azzurri, però, non può essere considerato un vero e proprio progresso tattico, piuttosto si tratta di una percezione legata alla maggiore intensità fisica e mentale mostrata in alcuni segmenti della partita. Basta andare oltre i dati grezzi per capire cosa intendiamo: da un punto di vista di esito della giocata, solo 9 tiri su 24 sono entrati nello specchio di porta, a cui vanno aggiunti i due tentativi finiti sul palo; se analizziamo la geografia di queste conclusioni nello specchio di porta, scopriamo che solo 3 di queste sono arrivate dall’interno dell’area di rigore.

Tutti i tiri in porta (più le due conclusioni finite sui legni) tentati dal Napoli durante la gara contro il Genoa.

L’altro dato interessante è quello incrociato col tempo: il Napoli ha tentato 3 conclusioni in porta (tutte da fuori area) nei primi cinque minuti di gioco, quando ha approcciato la partita con il giusto piglio e una discreta intensità. Poi però ha tirato in porta solo altre 3 volte (più il palo colpito da Petagna sullo sviluppo di una punizione) fino al minuto numero 65′. In pratica, la squadra di Gattuso è stata praticamente nulla, in fase offensiva, per un’ora di gioco. Ha dovuto cambiare completamente disposizione e approccio – con l’ingresso di Insigne e Osimhen e il passaggio a uno stranissimo 4-1-2-3 – per poter riprendere a giocare in maniera più veloce, più varia, più convinta e convincente.

Una volta a sinistra, una volta a destra. Il Napoli, come al solito, muove il pallone passando dalle fasce. Ma se il Genoa chiude lo spazio centrale, quale altra soluzione hanno i terzini o i laterali offensivi se non servire un compagno ancora più largo?

In questi due screen, si vede come e perché il Napoli sia stato così prevedibile in fase offensiva nel primo tempo. Contro il 4-3-3/4-5-1 degli azzurri – riproposto a Genova per la seconda volta dopo la gara contro il Parma, nel mezzo c’è stato l’esperimento della difesa a tre contro l’Atalanta – difendere è molto facile: basta serrare gli spazi al centro e indirizzare il giro palla sugli esterni. A quel punto, il Napoli fatica tantissimo a trovare soluzioni alternative.

Anche in questo caso, i dati non mentono: pur nel contesto di una buona prestazione, Politano nel corso del primo tempo non ha mai saltato il suo avversario diretto; anche Lozano è stato evanescente nella prima frazione di gioco, poi però nella ripresa ha aumentato i giri e ha fatto registrare addirittura 7 dribbling riusciti; in tutta la gara, nessun giocatore del Napoli ha messo a referto un solo passaggio filtrante partendo dalla zona centrale del campo, infatti addirittura tre azioni su quattro sono state costruite sulle fasce; al 90esimo, il numero dei cross tentati dagli azzurri è stato pari a 27. Solo che però gli unici colpi di testa verso la porta sono arrivati sugli sviluppi di un calcio di punizione (Petagna) e di corner (Maksimovic al 70esimo minuto).

È evidente, dunque, che il dato dei tiri tentati vada prima contestualizzato, e poi solo successivamente può essere sbandierato come prova statistica di superiorità. Certo, il Napoli è stato anche sfortunato: ha colpito due pali, e poi Elmas e Osimhen hanno fallito due occasioni molto ghiotte. Ma va detto pure che tutte le chance nitide costruite dagli uomini di Gattuso sono arrivate in maniera molto casuale. Oppure nel finale di partita, quando l’urgenza del risultato ha portato il tecnico azzurro a rivoluzionare completamente la sua squadra.

La difesa a quattro; Demme (e poi Bakayoko) centromediano; Elmas e politano in posizione di mezzi esterni; tridente con Lozano, Osimhen e Insigne (fuori inquadratura). Così il Napoli nel finale di partita.

Il vero possesso palla

Alla luce di tutti questi dati che abbiamo snocciolato e commentato, ha senso parlare di “partita dominata” da parte del Napoli? Secondo le metriche tradizionali sembrerebbe proprio di sì, anche perché a tutto questo potremmo aggiungere la percentuale bulgara di possesso palla raggiunta dalla squadra di Gattuso, pari al 67%. Il punto, però, è che anche questa cifra deve essere contestualizzata in qualche modo: tenere così tanto il pallone è stata una strategia che ha portato i suoi frutti? Quando ha determinato una reale pericolosità del Napoli in fase offensiva?

Se, come detto prima, le occasioni del Napoli sono nate solo in alcuni momenti della partita, vuol dire che negli altri segmenti di gioco la squadra di Gattuso ha semplicemente tenuto e/o fatto girare il pallone. Il vero possesso palla offensivo, quello che muove la difesa avversaria e determina gli spazi giusti per i movimenti e gli inserimenti dei giocatori, è quello praticato dal Genoa in occasione del secondo gol realizzato da Pandev.

Un gol davvero splendido.

In questa lunghissima azione del Genoa, non ci sono grandi giocate dei giocatori rossoblu o errori grossolani di quelli del Napoli; certo, magari Manolas e Maksimovic potevano essere più aggressivi nell’uscita su Zajc o nel seguire Pandev, ma in realtà questo gol nasce dall’alternanza di passaggi orizzontali e verticali, lenti e veloci, dal movimento del pallone che spinge gli avversari a disordinarsi, e così si creano gli spazi da attaccare.

Il Napoli, in questo momento, è una squadra fragile perché subisce questi gol – anzi: queste azioni – e non sa costruirli dall’altra parte del campo. Anzi, viene proprio da dire che subisce questi gol proprio perché non sa costruirli dall’altra parte del campo. Quest’ultimo concetto vale soprattutto seguendo l’idea di gioco di Gattuso, quella che lui chiama gioco pensante: modulo 4-3-3, catene laterali, costruzione bassa, difesa aggressiva, esterni offensivi che rientrano in campo. Si tratta di uno stile di gioco che presuppone la gestione delle partite e la creazione delle azioni offensive tramite il possesso palla.

La realtà, invece, è che il Napoli in questo momento ha un possesso palla elementare, di qualità mediocre, soprattutto nei centrali difensivi e nei centrocampisti. Eppure gioca ancora in questo modo. Sì, magari in alcuni momenti di grande intensità – come i primi minuti di Genoa-Napoli – riesce anche a essere pericoloso, applicando certi principi. Il punto, individuato anche da Gattuso nel postpartita, è che si gioca ogni tre giorni e nessuna squadra può affinare bene certi meccanismi in allenamento. Allora tutto il sistema ne risente, perché alla fine mancano gli strumenti per vincere la partita, un obiettivo più complesso e difficile da raggiungere rispetto al puro controllo del gioco.

Nell’azione in alto, il Napoli tiene alto il ritmo del possesso e poi Zielinski attacca subito Pandev per la riconquista; sopra, invece, un veloce ribaltamento verticale permette a Elmas di condurre in campo aperto, in situazione di parità numerica.

Come si vede chiaramente in questi video sopra, le azioni pericolose del Napoli nascono quando la squadra di Gattuso cambia ritmo o cambia registro. Per cambio di ritmo, si intende la capacità di attuare il recupero alto del pallone, oppure di rendere (molto) più rapido il possesso nella metà campo avversaria; per cambio di registro, invece, si intende una manovra costruita in maniera diversa, più diretta e verticale, come nel caso dell’occasione di Elmas.

In realtà Gattuso aveva già colto tutti questi segnali nella scorsa stagione, quando i suoi iniziali propositi di restaurare un gioco orientato al possesso e alla difesa alta si erano schiantati sull’inadeguatezza degli uomini a sua disposizione. Il suo Napoli ha vinto la Coppa Italia compattandosi in fase passiva, dopo essere diventata una squadra più predisposta al gioco in transizione. Subito dopo, però, aveva manifestato anche dei problemi offensivi contro avversari arroccati in difesa. L’arrivo di Osimhen e la necessità di recuperare Lozano hanno spinto Gattuso, all’inizio del 2020/21, a varare un nuovo sistema; poi la lunga assenza del centravanti nigeriano ha fatto naufragare questo progetto. E così il tecnico è tornato di nuovo indietro, a un gioco di possesso che appartiene a pochissimi giocatori del Napoli. Un gioco che ieri a Genova ha mostrato di nuovo i suoi limiti.

Questa breve cronologia dimostra come sia mancato e stia mancando un progresso tattico, nel Napoli come in Gattuso. La squadra azzurra finisce per tornare sempre indietro, in campo e nella testa. È come se fosse rimasta ancorata a un passato che non può più esistere. Che non ha ragione di esistere, perché non ci sono più gli uomini che possono renderlo reale.

Dimostrazione

Per capire cosa intendiamo, basta riguardare il video del primo gol di Pandev. Il Napoli ha la possibilità di battere una punizione nella metà campo avversaria, ma non la gioca in avanti. Torna indietro per costruire il gioco, affidandosi a Maksimovic, Manolas e Demme.

Un tocco davvero maldestro, non c’è che dire.

Il problema non è tanto che il Napoli sia tornato indietro in questa azione, o in tante altre. Il problema è come lo ha fatto. Il problema sta nel fatto che la costruzione dal basso sia affidata a giocatori che non sono portati a questo tipo di gioco. L’errore di Maksimovic è ovviamente un infortunio tecnico che può capitare a chiunque, in ogni momento. Ma è evidente come né il serbo né Manolas, subito prima di lui, abbiano saputo gestire il pressing del Genoa – tra l’altro un pressing pure piuttosto blando. Bastava appoggiare il pallone a Ospina, o ancora meglio cercare un passaggio più ambizioso, che tagliasse le linee di pressione avversaria – magari verso Zielinski, oppure scodellando il pallone nella zona di Elmas.

Demme arriva anche bene a supporto dell’impostazione dal basso, ma non viene servito in maniera precisa. Non che sia colpa del centrocampista tedesco, ma alla fine il suo dato dei palloni giocati (75 in 78′ di gioco, contro i 103 di Maksimovic e i 94 di Mário Rui e gli 84 di Di Lorenzo) dimostra che non è lui l’uomo che può e sa dettare i tempi di una manovra cadenzata, sostenuta. Allo stesso modo, il fatto che Manolas e Maksimovic debbano assolvere gli stessi compiti che un tempo erano di Albiol e Koulibaly è piuttosto sconcertante. Sono difensori diversi, hanno qualità diverse, possono e perciò vogliono fare cose diverse. Così come alcuni loro compagni.

Non a caso, nel (discreto) finale di gara giocato dal Napoli, il pallone ha viaggiato in maniera diversa: i 344 passaggi corti del primo tempo sono diventati 309, i 72 palloni alti e lunghi del primo tempo sono diventati 84. È così che sono aumentate le occasioni da gol.

Conclusioni

Gattuso, in questo momento, paga sicuramente la sfortuna. Quella che ha determinato molti episodi di molte partite, e poi anche quella relativa alle lunghe assenze di Osimhen e Mertens, con la conseguente impossibilità di lavorare sul progetto tattico che aveva segnato in maniera positiva questo inizio di stagione. Inoltre, in questa rubrica abbiamo sottolineato più volte come sia estremamente difficile allenare una rosa assemblata senza alcuna coerenza tattica, con giocatori che hanno grande qualità, certo, ma sono tutti diversi tra loro.

Premesso tutto questo, però, va anche detto come Gattuso stia rivivendo gli stessi problemi che hanno segnato la sua esperienza al Milan. Soprattutto nella sua seconda stagione in rossonero, il tecnico calabrese non è riuscito a dare alla sua squadra una fase offensiva varia ed efficace. Era apparso limitato nella varietà delle proposte, e ora quella sensazione sta ammantando anche la sua esperienza a Napoli. Più che altro, oggi l’allenatore calabrese sembra non riuscire a dare una direzione certa al proprio lavoro, che sia quella del gioco identitario o quella della continua mutevolezza di stili e forme di gioco. Oltretutto, le letture della gara in corso sembrano sempre tardive e improvvisate – ieri sera, i cambi di uomini e principi e sistema di gioco sono arrivati al 65esimo minuto.

Insomma, in questo momento Gattuso non sembra essere un valore aggiunto per il Napoli. Ovvero una squadra che, già di per sé, vive un momento complicato a livello progettuale e di rapporti interni. L’allenatore azzurro ha sicuramente tante giustificazioni da addurre, ma la realtà è che le buone intuizioni che aveva manifestato nei primi mesi a Napoli, e che lo avevano portato anche a vincere la Coppa Italia, sono ormai troppo lontane nel tempo. Nel calcio, d’altronde, chi invecchia o ristagna – come sta facendo il Napoli – ha davvero vita breve.

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