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La solitudine di noi tifosi del Napoli non napoletani

Dà la misura della debolezza del club. Il club non ha capitalizzato il marchio Napoli né ha favorito la crescita di opinionisti pro Napoli pure non napoletani

La solitudine di noi tifosi del Napoli non napoletani
Tifosi del Napoli a Dimaro (foto Ciambelli)

Un incipit insolito: sono tifoso del Napoli, pur non essendo napoletano ed essendo vissuto a Napoli solo pochi anni nella mia vita, non decisivi per l’appartenenza alla Fede Azzurra, in quanto già abbondantemente ad essa devoto in precedenza.

La mia è una situazione rara, non unica, ma sempre di estensione ridotta, per scarsità di soggetti con cui condividere le esagerate sofferenze, come anche l’ebbrezza dei pochi periodi luminosi, dove al massimo ci fu la simpatia interessata di alcuni tifosi milanesi (ma anche genoani, per fortuna!) per avere sottratto un campionato all’inter (1987) e al Milan (1990). Non mi pronuncio sulla coppa Uefa 1989, per il noto fenomeno più o meno trasversale in tutta la penisola, di sostenere nelle competizioni internazionali più spesso la squadra straniera rispetto a quella italiana, se diversa dalla propria.

Questa condizione di tifoso del Napoli, non napoletano, mi ha posto sempre qualche disagio; tipicamente essere chiamato a rispondere alla domanda “tifi Napoli? perché tifi Napoli, se non sei napoletano?”, fastidio che sostenitori delle tre squadre più vincenti certamente non subiscono, ma anche dubbi e sospetti a Napoli, dissipati solo citando soggetti che appartengono alla storia del Napoli senza averla fatta. Mi spiego: Gaspare Umile, Vagheggi, Scarnecchia e Mattolini, non sono esattamente meritevoli di memoria eterna, al contrario di Altafini, Sivori, Canè (quello di cui Didì, Vavà, Pelé, insieme non facevano neppure una uallera).

Mi sono spesso interrogato su questa difficoltà di avere tifosi non napoletani e sono arrivato alla conclusione ad aprile 2009, dopo una degustazione di grappa in tarda serata in un albergo a Gorizia, scoprendo che, in quella città beneficiata dalla pallacanestro e lontana oceani da palcoscenici calcistici primari, c’era una forte corrente di simpatia per il Napoli. Fui io che chiesi perché, con risposta immediata; “ci chiede perché? Zoff, Burgnich, Reia!”  Non solo; un altro partecipante alla degustazione, lucidissimo ad onta dei numerosi bicchierini, raddoppiò e disse “Anche Tonino Zorzi!”. Già, Tonino Zorzi, goriziano come gli altri tre, gloria della pallacanestro italiana in tempi lontani (anni ’50), allenatore vincente con la Fides Partenope nel 1970 della coppa delle coppe di basket (all’epoca, l’Europa League del basket).

Insomma, una città di confine, poco conosciuta e storicamente assente nella storia italiana, rivendicava una simpatia per il Ciuccio, in funzione dei propri enfants du pays, peraltro tutte stelle di primo livello (peccato solo che Burgnich sia arrivato a Napoli a fine carriera…).

E poi un signore triestino entrò nella conversazione dicendo: “noi siamo asburgici, ma di una città di mare con un cuore mediterraneo e sentiamo Napoli come una sorella lontana che non riusciamo a frequentare. Nel disastro del calcio locale, se la società calcio Napoli volesse investire per cercare tifosi, da noi ne troverebbe!”

Difficile ponderare l’ultima affermazione, anche se è vero che i triestini sono certamente amanti del mare e condividono altre affinità comportamentali con i mapoletani, ma il breve scambio di quella sera fu per me rivelatore.

In sostanza, oltre ai motivi razionali per cui tifare una squadra (i risultati, ahimè!) ci sono anche le identità e le origini di soggetti che hanno fatto e fanno la storia di un club.

Questo, quando i soggetti sono ancora nell’alveo di una grandezza “normale”; poi però ci sono le eccezioni e anch’esse sono da coltivare (e il Napoli non l’ha fatto…). Cioè: all’inizio degli anni ’90 c’erano un po’ di ragazzini, anche a Milano e Torino che tifavano Napoli. Ma all’epoca, oltre ai risultati, c’era Lui; quanti di quei ragazzini sono rimasti tifosi del Napoli, durante l’oscuro decennio perduto 1997 – 2007?

E, in modo analogo, qualcuno si è mai chiesto negli ultimi otto anni, quanti tifosi ha raccolto il Napoli nelle Fiandre?

Avere pochi tifosi fuori dalla città di appartenenza del club non è senza conseguenze, soprattutto nel calcio odierno, dove i risultati fuori campo (bacini di utenza, fatturati, presenze televisive in quantità e qualità, UTILI aziendali!) stanno diventando fondamentali per la sopravvivenza e le prospettive future.

Ma non è solo una questione di numeri, peraltro determinanti per la spartizione dei diritti televisivi; i tifosi veri (o paganti) di aree ed estrazioni diverse rispetto a quelle originarie sono un patrimonio, che si rivela utile per vincere le partite fuori dal campo, il cui calendario sta progressivamente e inesorabilmente diventando affollato come quello agonistico.

Mi limito a due esempi:

1)  la vicenda di una ministressa piacentina (non torinese !) contattata da un dirigente degli ergastolani per facilitare l’italianizzazione di un noto calciatore sudamericano;

2) un conduttore radiofonico (e spesso, anche in televisione) di comprovata fede laziale, in realtà giornalista “embedded” (secondo l’altro conduttore della famigerata emissione radio), per difendere in ogni dove le glorie, soprattutto relative agli arbitri decisori delle partite degli ergastolani medesimi. (e in subordine, sfruttare ogni pretesto per denigrare Napoli)

Alle spalle, la debolezza della società che non ha (avuto) in mente di capitalizzare il marchio Napoli e promuoverlo a livello nazionale e internazionale, cercando di capire quale fetta di simpatizzanti e tifosi, intercettare e coinvolgere nella causa Azzurra e dove agire.

Curioso che un imprenditore del cinema, linguaggio e fabbrica di sogni universale, non abbia mai dedicato tempo e spazio a sviluppare un progetto in questa direzione. Certo questo, presuppone la trasformazione della SSC Napoli in un’azienda con ruoli ben definiti, idealmente assegnati a esperti professionisti del settore e non ad azionisti di famiglia (per di più di originaria fede laziale, puh…)

Inutile lamentarsi dei commenti di scai, spesso invero demotivanti verso il Napoli, se dopo il ritorno in A, in 14 stagioni, la SSC Napoli non è riuscita a “formare” una classe di “opinionisti”, di dizione neutra, non napoletani, né campani, né meridionali, in grado di indirizzare il segmento di opinione pubblica lontano dai grandi palcoscenici della serie A, senza riferimenti locali calcistici, verso il Napoli distraendola dai facili approdi alle squadre bicolori con le maglie a righe.

Non solo; la situazione del Napoli è ben condivisa con Roma, Fiorentina, Genoa, Bologna forse un po’ meno con il Torino che può vantare un piccolo parco di tifosi extra Piemonte, per suggestioni di ciò che fu, tramandate in asse ereditario. Ma non è una consolazione; il primo club che capirà questo, ma soprattutto agirà in modo mirato, otterrà miglioramenti interessanti nella percezione collettiva e nel posizionamento sui mezzi di informazione.

La conclusione? La condizione di incompiutezza che pervade il Napoli nella sua storia recente, sempre vicino a grandi traguardi che non raggiunge perché fallisce la prova decisiva, ha uno specchio in quella esterna al campo, producendo una sinergia negativa; niente vittorie, niente tifosi esterni al bacino d’utenza naturale.

Purtroppo, la luce che diffonde lo specchio non è Azzurra, mentre lo stato d’animo di noi tifosi della diaspora e anche non napoletani è grigio, deprivati pure del turpe piacere delle polemiche che la stampa cittadina alimenta costantemente, a prescindere dagli attori di riferimento.

E in questa malinconica foschia brumosa di sottofondo, permane soltanto un’ispirazione da un canto antico: “Ciuccio fa’ tu” (https://www.youtube.com/watch?edufilter=NULL&v=yA2HgeIIvKo)

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