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In quattro mesi è cambiato tutto, oggi Napoli-Juve sembra l’attesa del patibolo

Era tutto un “li avremmo stracciati”, oggi facciamo quasi finta che questa partita evento non esista. Anche se l’anno scorso innescò la rinascita

In quattro mesi è cambiato tutto, oggi Napoli-Juve sembra l’attesa del patibolo
during the Italian Serie A football match SSC Napoli vs Fc Juventus.

Domani c’è Napoli-Juventus, e nisciuno se ne importa (e ognuno aspetta ‘a ciorta, anche). Una volta “Napoligliuve” era metonimia del calcio napoletano, era contenitore e contenuto, era quasi un brand, un evento a sé. Oggi lo scriverebbero con l’hashtag, #NapoliJuve. Era attesa e inganno. Era vibrazione dell’occulto, illusione a volte realtà. Era LA partita, con annesse un sacco di cose più o meno forzate: per i più romantici la madeleine del tempo perduto, per altri la ripetitiva occasione di rivalsa, di rivalità mai disinnescate. Oggi pare una lenta camminata verso il patibolo. Dead team walking.

Basterebbe fare un salto indietro a ottobre. L’appuntamento saltato a Torino per le note vicende Covid, tra Asl e tribunali. Napoli-Juve, appena quattro mesi fa, era tutta campagna militare, strategia della tensione, petto in fuori, testa alta: avessimo giocato, li avremmo battuti. Un coro unanime. Era – sembrano passati mille anni – il primo Napoli 2020/21, che non s’era ancora scoperto fragile come un cracker. E di fronte aveva la nuova Juve di Pirlo, un poltiglia ancora informe di preteso spettacolo, mezze idee di tattica rivoluzionaria, qualche evidente crepa nelle secolari sicurezze bianconere. E’ cambiato tutto.

Napoli-Juve del 13 febbraio 2021 è una maschera di Carnevale triste. E’ l’apostrofo depresso tra un’Atalanta e un’altra Atalanta. Tra la semifinale di Coppa Italia persa, e il successivo turno di campionato a Bergamo. E’ un tombino. Sappiamo che c’è, proviamo a scansarlo. Annusiamo il pericolo, ecco. Ne avvertiamo il fetore, proprio.

E un po’ – ma lo scriviamo sottovoce per pudicizia – ci aggrappiamo alla cabala. Aspettiamo la ciorta, appunto: l’anno scorso, proprio di questi tempi, il Napoli di Gattuso vinse 2-1 con la Juve, innescando una sorta di rinascita. Seguirono, sulla scia dell’euforia, il 4-2 alla Samp, uno stop col Lecce, ma poi in fila quattro vittorie in campionato (Inter, Cagliari, Brescia, Torino), inframmezzate dall’1-1 col Barcellona. Così, fino allo scoppio della pandemia.

Ma è una parentesi. Una tasca di ottimismo che serve per intimo conforto mentre leggiamo le rassegne stampa che dovrebbero introdurre quel popo’ di partita e che invece s’arrovellano sul destino dell’allenatore. Dirimpetto il tempo ha lavorato in senso inverso: la Juve è cresciuta, s’è liberata delle velleità adolescenziali della supposta Pirlolandia per riscoprirsi Allegrista. Ha già vinto in Supercoppa. E viene da tre vittorie consecutive in campionato. E’ diventata una scatoletta di tonno inscalfibile. Noi siamo il grissino che si spezza solo a guardarsi allo specchio, per restare nella metafora.

E’ avvilente, certo. Ma paradossalmente è anche un bene. La disperazione a volte innesca meccanismi perversi. Il Napoli è in una sabbia mobile motivazionale: stiamo ragionando sulla “tenuta” di una squadra che può ritenersi soddisfatta perché altre al suo posto avrebbero preso 5 gol dall’Atalanta. L’orgoglio è ridotto ai minimi termini, ma si tiene artificiosamente su, rifiutandosi di guardare vuoto il bicchiere asciutto. La Juve è invece in una bolla d’autostima, appena 5 punti più sopra in classifica. E’ in contesti del genere che d’improvviso – succede, a volte, nello sport – la realtà si deforma, curva, prende altre strade.

Si chiama fede, questa. Speranza. Che ognuno tiene a bada per sé, mentre si avvia verso quell’angosciante patibolo che pare essere Napoli-Juve.

 

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