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L’importanza di chiamarsi Ibra (e soprattutto di averlo in squadra)

Doppietta al Cagliari. Al Milan hanno voluto uno che lo sfondasse lo spogliatoio. Che alzasse il livello: in campo, nello spogliatoio e in società

L’importanza di chiamarsi Ibra (e soprattutto di averlo in squadra)
foto Hermann

Oscar Wilde avrebbe accettato di buon grado di prestare il titolo della sua commedia per offrire una fotografia esaustiva del campionato italiano di calcio, e in particolar modo del Milan. Che questa sera ha vinto in casa del Cagliari 2-0 e si è riportato a più tre in classifica sui cugini dell’Inter. Comanda Milano. E soprattutto comanda Ibrahimovic. È lui, Zlatan, ad aver cambiato il destino del club rossonero. Chi sostiene il contrario, o è in malafede o ha scarsa dimestichezza col gioco del calcio. Anche se senza di lui, il Milan ha perso solo contro la Juventus.

Ibrahimovic è tornato a giocare dal primo minuto dopo aver saltato otto gare consecutive in campionato e aver fatto una fugace apparizione contro il Torino. Non veniva schierato dal primo minuto dalla serata dell’allora San Paolo quando il Milan vinse 3-1 e lui segnò due gol. Due gol, proprio come stasera, come contro il Bologna, l’Inter e la Roma. Quando ha giocato dal primo minuto, in campionato Ibrahimovic ha sempre segnato. Sempre. In totale sono dodici gol in sette partite giocate dal primo minuto.

Ibrahimovic ha innescato nel Milan quel processo che potrebbe condurre alla vittoria di un campionato. La sua presenza – sì unita al lavoro di Pioli e alla bravura di Maldini, ma il propulsore è lui – ha fatto sì che tutti migliorassero. Il Milan non è primo in classifica soltanto per Ibrahimovic. E neanche per i tantissimi rigori fischiati in suo favore (dovrebbero essere tredici). Il Milan è primo perché i calciatori scarsi sono diventati mediocri. I mediocri sono diventati sufficienti. I sufficienti bravini e i bravini molto bravi. Si è creato quel clima per cui ciascun componente del gruppo offre quel 10-15-20% in più. È questo che fa la differenza. E sì Pioli ha una gran componente del merito. Ma la candela, colui il quale motoristicamente ha scoccato la scintilla e acceso la miscela, è stato quel signore lì di 39 anni compiuti: Zlatan Ibrahimovic.

La scelta del Napoli e di Gattuso di non acquistarlo circa tredici mesi fa, è il vero punto di rottura del club. A Napoli, fatta eccezione del Napolista, praticamente nessuno parla. Se ci si perde quel passaggio, il no a Ibrahimovic (non il no di Ibrahimovic), diventa complesso comprendere quel che è accaduto dopo, e accade tuttora. Ibrahimovic ha garantito al Milan l’accesso a un’altra dimensione, ha trascinato un club di centro-classifica in una squadra prima in classifica. Nessuno, al Milan, ha temuto per lo spogliatoio. Hanno voluto una persona che lo sfondasse quello spogliatoio. Che alzasse il livello: in campo, nello spogliatoio e in società. Hanno rischiato. E fin qui il rischio ha pagato.

p.s. al mercato di gennaio al Milan hanno acquistato un altro signore che le partite decisive le sa giocare, tal Mario Mandzukic.

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