Il ruolo della Juventus e il silenzio dei vertici federali. La presunzione d’innocenza vale anche nello sport ma c’è una linea netta tra il riserbo e l’omertà

Le notizie sull’inchiesta di Perugia sul c.d. caso Suarez portano inevitabilmente a pensare alle conseguenze in campo sportivo della vicenda, sia per i singoli coinvolti che per la società, considerando che la falsificazione dell’esame di italiano che il calciatore ha sostenuto all’Università per stranieri di Perugia ne avrebbe consentito il tesseramento in Italia per giocare nelle fila juventine; per giungere al risultato, i vertici dell’Università, come si legge negli atti ufficiali dell’inchiesta pubblicati, hanno messo in piedi quello che il Gip di Perugia definisce “un esame farsa”, con domande passate sottobanco a Suarez, una prova al riparo da occhi indiscreti e attestazioni di competenza linguistica che l’atleta non aveva assolutamente e tutto al solo scopo di fargli conseguire la certificazione di conoscenza della lingua italiana che era il presupposto per ottenere la cittadinanza e quindi il tesseramento come “italiano” (da extracomunitario la Juve non avrebbe potuto acquisirne il cartellino, per il superamento delle relative quote).
Secondo i magistrati perugini, questa gigantesca contraffazione ha visto come principali protagonisti docenti e direttori dell’Università e lo stesso Suarez, intercettati proprio nelle fasi di preparazione ed esecuzione del reato, e sarebbe avvenuta per soddisfare il duplice interesse del calciatore (che avrebbe ottenuto in tal modo un ingaggio multimilionario nella prestigiosa compagine italiana) e della stessa Università (che avrebbe avuto un ritorno di immagine di forte impatto anche mediatico; nella lista delle persone indagate nell’ordinanza con la quale i vertici e i quadri dell’Ateneo sono stati sospesi dalle proprie funzioni non ci sono tesserati Juventus ma compare il nome di una dei legali della società che, in base alle intercettazioni, viene definita “concorrente morale e istigatrice”, come a dire che tutta la vicenda ha avuto origine proprio dall’istigazione proveniente da ambienti juventini.
In vari punti dell’ordinanza si fa infatti riferimento all’interesse della Juve al buon esito dell’esame del calciatore, si parla anche dei “desiderata” della Juventus (per dire che il corpo docente e amministrativo non faceva altro che assecondare il chiaro interesse della società), si spiega anche che il DG Paratici aveva contattato la sua amica di vecchia data che attualmente è Ministro della Repubblica per ottenere un contatto diretto al Viminale per le procedure di cittadinanza di Suarez; insomma, il quadro dell’indagine, per quanto è dato conoscere, fa emergere una costante presenza di “uomini (e donne) Juve” che hanno costruito il percorso del diplomino (falso) di Suarez ma poi, tirando le somme, nessuno (a parte una degli avvocati) risulta indagato per i delitti di falso e rivelazione di segreti, attribuiti ai soli pubblici funzionari nei quali nessuno dei tesserati della società è coinvolto.
C’è in atti un cenno ad ulteriori indagini in corso che riguardano la posizione di Paratici e di un altro degli avvocati della Juve che la Procura considera falsi testimoni per aver fornito ai PM una versione falsa dei fatti ma proprio in quanto testimoni gli uomini Juve sono per definizione estranei al reato commesso dai vertici accademici di Perugia che avrebbero quindi agito senza la complicità dei tesserati Juventus e si intuisce che la linea difensiva della società sarà proprio quella di dichiararsi estranei, avendo semplicemente chiesto di far esaminare Suarez senza però sollecitare comportamenti illeciti che, se commessi, sarebbero esclusivamente a carico di chi ne abbia falsato gli esiti; quindi, un caso complesso, emerso solo grazie alle intercettazioni, che rispolvera il leggendario “a mia insaputa”, un tempo legato alla donazione di una casa (all’insaputa del beneficiario) e oggi applicabile al calciatore, favorito per tesserarsi con la Juve ma, appunto, all’insaputa di quest’ultima.
Quali saranno le decisioni della Giustizia Sportiva? Prematuro dirlo, solo in questi giorni, si apprende, le carte stanno per essere trasmesse alla Procura Federale che avrà il compito di verificare se vi siano responsabilità di tipo sportivo dei tesserati e della società, che nel caso dovrebbe rispondere a titolo oggettivo per l’operato dei suoi organi di vertice, anche se poi alla fine il calciatore non è stato nemmeno tesserato (già, perché? Libera decisione o qualcosa ha suggerito di evitarne l’acquisto?), perché per la giustizia sportiva il tentativo equivale alla consumazione dell’illecito; in teoria, la falsificazione di un tesseramento (anche solo tentata) può costare carissimo in ambito sportivo, squalifiche per i tesserati e multe o punti di penalizzazione per la società, e quindi è materia delicata ma il punto è un altro e cioè se il mondo del calcio sia in grado di reagire ai fenomeni di devianza che, a sua insaputa o meno, lo circondano e lo inquinano, dando risposte nette e adeguate.
Non si tratta (solo) di sanzioni esemplari ma dell’immagine dello sport che respinga le condotte illecite, senza se e senza ma; vent’anni fa esplose “passaportopoli”, uno scandalo nazionale su passaporti falsificati e cittadinanze “regalate” a calciatori più o meno famosi che furono squalificati (per periodi, alla fine, poco più che simbolici) senza nessuna sanzione per le società che li avevano tesserati come “italiani”, tutte ritenute estranee all’illecito commesso, per l’appunto, all’insaputa (nonostante i passaporti fossero palesemente falsi, già a prima vista).
All’epoca, solo Fabio Capello disse qualche parola di condanna verso il “sistema”, sostenendo che era impossibile che nessuno sapesse ma fu zittito e intimorito (la Lazio lo citò per danni, chiedendogli 64 miliardi di risarcimento!) e quindi prudenzialmente nessuno parlò più e lo scandalo si richiuse rapidamente; oggi, colpisce il silenzio dei vertici federali, dai quali nessun commento è pervenuto per dire, almeno, che i controlli sui tesseramenti saranno più scrupolosi e sembra proprio che si aspetti che la tempesta passi.
La presunzione di innocenza vale anche nel mondo dello sport, certo; ma c’è una linea netta tra il riserbo e l’omertà e lo sport non si può più permettere di girare lo sguardo e non rispondere alle domande dell’opinione pubblica (e dei magistrati).
Il fair play non è solo gioco corretto ma è il rispetto delle regole, perché, come dice il poeta, “troppo spesso la saggezza è solamente la prudenza più stagnante” e, come tutti i ristagni, prima o poi puzza insopportabilmente.
Paolo De Angelis, magistrato