Repubblica: se esiste un’arte dello spreco, il suo museo è intitolato a Maradona
Il commento di Romagnoli. "Ha avuto un talento assoluto per due cose: il calcio e l'autodistruzione. È un’impresa creare Maradona, una ancora più grande farlo a pezzi. Solo lui poteva riuscirci"

Su Repubblica, Gabriele Romagnoli scrive di Maradona.
“Adorato da molte curve, amato da mai abbastanza donne, adulato dagli scriba, immortalato in senso stretto da registi e cantanti, irretito dai mariuoli, cliente privilegiato in qualsiasi mercato e l’impressione è sempre stata che ad amarsi di meno fosse proprio lui. Diego Armando Maradona ha avuto un talento assoluto per due cose: il calcio e l’autodistruzione. A lungo ci ha giocato contemporaneamente, poi ha smesso il primo e continuato la seconda, fino al fischio finale, anticipato al sessantesimo”.
Maradona ha sempre messo il suo “lato oscuro sotto i riflettori”.
“Ha avuto il dono, la gloria, l’opportunità, che cosa ne ha fatto? Se esiste un’arte dello spreco, a suo nome è il museo. Ma esiste, eccome. È una somma di ipnosi, oblio, siderale distanza dalla propria storia. Si può passare tempo a costruirsi un’immagine e altrettanto a demolirla. La droga, le frequentazioni criminali, sono solo mezzucci, parte di un piano più grande. È un’impresa creare Maradona, una ancora più grande farlo a pezzi. Solo lui poteva riuscirci. Nell’intento ha debordato in ogni possibile direzione e senso, portando in giro il suo corpo come un ospite indesiderato; straparlando in difesa e contro ogni causa giusta, persa o sballata che fosse; facendo inevitabilmente male l’unico mestiere che gli era precluso da ogni possibile senso, quello di allenatore; sedendosi in qualsiasi consesso con uguale e ferale disponibilità; ingannando istituzioni e persone e da loro facendosi ingannare; andando a disperdere briciole di leggenda in lontani teatri, manco Fitzcarraldo, tra i ghepardi di Dubai e i pesci di Sinaloa”.
E conclude:
“Generosità e bisogno di espiazione, istrionismo ed esposizione al pubblico ludibrio si sono fuse in lui fino all’indissolubilità. Non ha distinto negli altri perché non distingueva più in sé. Ha creato felicità, l’ha rubata e con dolore restituita“.