The Atlantic spiega il fattore K: non tutti i positivi contagiano allo stesso modo, anzi il 10-20% dei positivi è responsabile dell’80-90% dei contagi
Abbiamo passato la primavera a farci spiegare da Gallera come funzionassero i famigerati R0 o Rt, gli indici che rappresentano la media di persone contagiate da un singolo portatore del virus. E ora che siamo alla seconda ondata, in maniera più o meno ufficiale, e che il calcio si sta arrotolando nella sua gestione dei cluster, dei focolai, può venire buona l’introduzione di un nuovo fattore: il “fattore K”, che per The Atlantic è “la variabile trascurata, la chiave della pandemia”. Perché spiega il motivo per cui il contagio da “superdiffusori” – come potrebbe essere il Genoa – è il nuovo fronte della resistenza alla pandemia.
Cos’è dunque questo “fattore K”? Lo spiega bene Il Post che riprende l’articolo di The Atlantic: indica quanto un virus viene trasmesso da chi lo ha contratto. Non tutti i positivi infettano gli altri allo stesso modo: alcuni molto poco, altri tantissimo. Se una patologia ha un K di valore basso significa che poche persone sono responsabili di una gran parte dei contagi; se è alto, invece, il numero di persone contagiate da ciascun positivo è più uniforme.
Cosa significa? I ricercatori ritengono che i “superdiffusori” abbiano un ruolo molto importante nello sviluppo della pandemia di Covid. Una festa al chiuso o una partita di calcio con 22 persone che si toccano, si sputano e si respirano addosso, possono dare origine a cluster molto più della vita quotidiana della maggior parte delle persone, seppur positive. Meglio: evitare queste situazioni è forse il modo più efficace per non far scoppiare l’epidemia in maniera poi incontrollabile.
Il Post spiega che ad esempio l’influenza stagionale ha un K abbastanza alto, cioè si trasmette in modo più regolare ma senza impennate improvvise. E le impennate improvvise sono quelle pericolose, che poi saturano le terapie intensive e gli ospedali. La COVID-19 tende a diffondersi per cluster. Di nuovo: il singolo caso di calciatore positivo – come Ibra al Milan – ha un peso molto diverso rispetto alla possibilità che un cluster tipo quello del Genoa ne produca altri.
Il coronavirus, dunque, tende a trasmettersi principalmente per singoli eventi. Come una partita di calcio, o un ricevimento di matrimonio. Si stima che tra il 10 e il 20 per cento dei contagiati sia responsabile di una percentuale della trasmissione del virus compresa tra l’80 e il 90 per cento. Ovvero: moltissimi positivi non lo trasmettono a nessuno, pochissimi superdiffusori a tantissime persone.
Se quindi molto lo fa il caso, è altrettanto vero che quando si ha la fortuna di poter controllare spesso e costantemente un gruppo di persone – come i calciatori – proprio la possibilità di prevenire i cluster rappresenta un’arma da sfruttare per quanto si può. Non farlo, per rispettare “protocolli” sportivi, dal punto di vista scientifico è un non-sense.