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Osakue la discobola azzurra: «Non mi inginocchio, quel gesto in Italia non serve»

A La Stampa: «In America è diverso, lì ti insegnano a come rimanere vivi se vieni fermato dalla polizia. A fare la spesa senza zaino, altrimenti pensano che vuoi rubare»

Osakue la discobola azzurra: «Non mi inginocchio, quel gesto in Italia non serve»

La Stampa intervista la discobola Daisy Osakue. 24 anni, con genitori nati in Nigeria, ha dovuto aspettare di compiere 18 anni per ricevere la cittadinanza italiana. Studia negli Stati Uniti. Ha vissuto i giorni delle proteste per l’omicidio di Floyd George.

«Purtroppo, casi come questo non sono una rarità. Stavolta c’è un video, di solito nessuno se ne accorge».

Osakue si augura che sia l’inizio di una svolta.

«Io sono solo una lanciatrice, una sfigata qualsiasi, ma nella mia piccola cerchia cerco di informare, di spiegare che cosa succede per le strade, la motivazione non violenta. Ho avuto attenzione».

Le chiedono se alla sua prossima gara importante si inginocchierà anche lei in segno di protesta.

«Uno sportivo può e deve farsi sentire, ma quel gesto è americano. Per cambiare la storia bisogna conoscerla. Si è inginocchiata la mia amica Gwen Berry, pesista di lusso esclusa dalla distribuzione dei fondi destinati ai migliori per colpa della sua protesta. La ammiro, ma non la seguo: rispetto le regole di uno sport che amo. Posso usare i social, raccontare, spiegare, sensibilizzare le persone sulla questione minoranze».

Vive a Moncalieri. Racconta la condizione di figlia della prima generazione di emigrati stabili in Italia.

«Mi vedo allo specchio, mi guardo intorno, so chi sono: non quello che si aspettano gli italiani. Noi, figli della prima generazione di emigrati stabili, siamo gli sconosciuti. Io sono fortunata, ho una famiglia che mi ha avviata allo sport, mi ha dato la possibilità di studiare criminologia all’estero. La mia allenatrice, Maria Marello, è una forza della natura. Ho amici splendidi e l’atletica dove davvero non ci sono differenze, ma ci vuole tempo. È come la verdura per i bambini. All’inizio la rifiutano, ma non perché davvero la detestano, non ne conoscono il sapore, le qualità, poi all’inizio la accettano solo mescolata ad altro e quando crescono la adorano. Certo, c’è chi non la mangia proprio mai, però sono eccezioni. Scusate, questa metafora fa schifo eppure è un po’ così».

Negli Usa è diverso.

«Lì vivono contraddizioni fortissime. Ci sono comunità in cui davvero il colore della pelle è un dettaglio superato e realtà dove rischi per le origini che hai. I miei compagni mi hanno insegnato ad andare a fare la spesa senza zaino. Se lo porto pensano che voglia rubare».

E non le hanno insegnato solo questo, racconta.

«Anche come ci si comporta se ti ferma la polizia: “Numero uno, rimanere vivi. Taci, esegui, concentrati”».

Eppure resta lì.

«Perché se ragionassi così non starei neanche a Torino. Ogni posto ha i suoi mostri e i suoi errori, bisogna contribuire al cambiamento, non nascondersi o cercare il luogo ideale che non esiste. Essere brutalizzati dalla polizia è una situazione estrema, qui non succede, capita altro».

 

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