“Prenderlo a calci è diventato lo sport del momento, ma lui doveva rispondere alle leggi della Serbia. E guardate in Premier cosa succede coi protocolli…”
“Prendere a calci Novak Djokovic è diventato uno sport nazionale”.
E il Telegraph non ne può più. Prima o poi doveva succedere: è del glorioso quotidiano inglese il primo editoriale in difesa del numero uno del tennis mondiale, “linciato” mediaticamente per l’organizzazione del suo torneo-focolaio.
Il Telegraph va controcorrente e scrive che è un problema di “ottica”. Il punto di vista inglese è distorto, e ipocrita. Per l’Inghilterra “la decisione di Djokovic di giocare è folle, ma ciò che si trascura di notare è che Djokovic non era vincolato alle regole o alle restrizioni inglesi. Doveva obbedire solo alle linee guida della salute pubblica nella sua nativa Serbia, che, al momento della prima partita dell’Adria Tour del 13 giugno, aveva avuto solo 76 casi nelle precedenti 24 ore. È vero, Djokovic avrebbe potuto essere più attento per evitare di toccare e abbracciare gli altri. Ma è diventato un cliché rappresentare qualsiasi sua condotta come grossolana o insensibile. Piaccia o no, il locale notturno in cui è stato ripreso senza camicia era aperto legalmente. Il suo unico errore, forse, è stato quello di lasciarsi svergognare da uno smartphone”.
“Giocare durante una pandemia è un territorio inesplorato per tutti nello sport, ed è diabolicamente difficile farlo senza incorrere in errori”. “Djokovic è il capro espiatorio del momento, ma l’indignazione è selvaggiamente incoerente. Guardate la Premier League, dove ogni giorno lo svilimento del protocollo diventa più flagrante”. “Le restrizioni entro cui lo sport deve operare sono, semplicemente, avverse alla natura umana”.