Intervista al Giornale: «L’abbraccio di Riva a Rivera o il mio bacio a Platini: quello è il calcio. Troppi stranieri in Serie A, manca il senso di appartenenza»
Il Giornale intervista Marco Tardelli. Domani la Nazionale italiana farà 110 anni e l’uomo dell’urlo dei Mondiali del 1982 parla dell’importanza di vestire la maglia azzurra. La definisce
«L’appartenenza. È la seconda pelle. Ti trasferisce orgoglio, amore, fiducia, sai di rappresentare una nazione. Quell’azzurro è come il cielo, ci sono stelle mentre lo indossi. Nessuno può sapere, nessuno può capire che cosa si provi quando ascolti l’inno e poi fuggi verso la partita, il gol. È la cosa più bella che potrei, anzi che posso augurare a un calciatore».
La maglia dei club ha un altro significato.
«Ti puoi affezionare ma è un sentimento differente, è una sensazione diversa. Quando indossi l’azzurro rappresenti il Paese, quando indossi i colori del club rappresenti i tifosi».
Tardelli mostra preoccupazione per quello che è diventato il calcio.
«Sento il rischio che si stia allontanando dai calciatori. Il senso di appartenenza viene a mancare da quando gli stranieri hanno preso il sopravvento numerico. Dunque il rapporto con la maglia è meno nobile. Ma che nessuno dimentichi o trascuri un fatto: abbiamo vinto gli ultimi due mondiali, dunque essendo i migliori di tutti, con calciatori italiani. Esiste un patrimonio e questo va salvaguardato».
Oggi la maglia azzurra non ha lo stesso potere contrattuale di una volta, dichiara.
«Oggi la maglia azzurra non ha più lo stesso potere contrattuale. Una volta ti presentavi con quel passaporto e avevi maggiore forza con la società. Ma per meriti conquistati sul campo. Non per altro».
Per cambiare le cose bisogna che si ricominci da zero, che si riformi tutto ma che i calciatori partecipino.
«Ma i calciatori devono sedersi allo stesso tavolo di queste riforme. Invece il sindacato è delegittimato, è in difficoltà. I presidenti devono capire che gli attori sono quelli che vanno in campo, quelli che, però, vengono messi ai margini».
E conclude pensando alle partite che ci aspettano in tempi di coronavirus. Le porte chiuse sono inevitabili, come la paura.
«Stavolta sarei preoccupato ma, come detto, sono i calciatori, compatti, a dare una risposta. La paura, la preoccupazioni sono emozioni umane. Ma trovo impossibile se non idiota il divieto ad abbracciarsi. Avete in mente l’abbraccio di Riva a Rivera dopo il gol contro la Germania, quello di Bobby Moore a Pelé, il bacio mio con Michel Platini. Questo è il calcio, liberazione, festa, gioia. Questa è la vita».