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L’Onu dice basta ai wet market dove vendono animali, senza alcuna igiene. Da lì è partito il virus

Sul Fatto. Sono i mercati come quello di Wuhan. Sotto accusa gli allevamenti intensivi e l’industrializzazione della produzione alimentare

L’Onu dice basta ai wet market dove vendono animali, senza alcuna igiene. Da lì è partito il virus

La responsabile della biodiversità delle Nazioni Unite, Elizabeth Maruma Mrema, ha dato un parere positivo al bando mondiale dei mercati umidi. Cioè quelli che vendono e macellano animali in condizioni igieniche precarie. Come il mercato di Wuhan. Da cui pare sia partito il virus che sta mettendo in scacco il mondo intero.

“Se non ti preoccupi della natura, sarà lei a occuparsi di te”.

Ha detto così, scrive Il Fatto. Dopo quattro giorni dal lancio della petizione lanciata da Animal Equality Italia per la chiusura dei mercati umidi (200mila firme raccolte finora).

Il fondatore, Matteo Cupi, dichiara:

“Ora continueremo a fare pressione per passare dalle dichiarazioni ai fatti. È comunque un buon segnale. È provato che i ‘wet market’ siano il terreno fertile in cui avviene lo spillover tra virus da animali selvatici a esseri umani. E se vogliamo evitare le prossime pandemie globali e inutili crudeltà estreme su animali selvatici e da allevamento è ora di agire subito”.

La Cina ha temporaneamente sospeso la vendita di specie selvagge, tra cui il pangolino, il pipistrello da cui avrebbe preso il via il salto di specie. Ma uno studio di due antropologi, Lyle Fearnley e Christos Lynteris, mette sotto accusa gli allevamenti intensivi e l’industrializzazione della produzione alimentare. Risalenti, in Cina, all’inizio degli anni ’90.

In quel periodo, i grandi allevatori tagliarono fuori dal mercato i più piccoli che, per cercare di sopravvivere, iniziarono ad allevare le specie selvagge, fino ad allora mangiate solo per sopravvivere. Con il progredire degli allevamenti intensivi, i piccoli allevatori iniziarono a spingersi ai limiti delle zone incolte, vicino alle foreste, dove vivono, appunto, pipistrelli e virus. Scrive il Fatto:

“E l’ipotesi è che sia stato l’aumento della densità e della frequenza di contatti fra animali allevati e specie selvagge che abbia favorito il salto di specie, che avrebbe poi portato al coronavirus”.

La stessa Mrema ha però ammonito:

“Alcune comunità a basso reddito, e parliamo di milioni di persone, basano il proprio sostentamento sulle specie selvagge. Quindi a meno che non diamo un’alternativa a queste comunità, il rischio è di aprire le porte del mercato nero a questi animali, e così anche all’estinzione di alcune specie”.

 

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