Ieri, dal soffitto della galleria Bertè, si sono staccati enormi blocchi di cemento. La gestione, anche in questo caso, è di Aspi. Ora la Procura valuta una nuova inchiesta

L’anno non si chiude decisamente bene per Aspi.
Ieri, dal soffitto della galleria Bertè, sulla A26 ligure, si sono staccati degli enormi blocchi di cemento che sono caduti sulla corsia centrale. Solo per un caso non ci sono stati feriti né vittime. Il concessionario, anche in questo caso, è Aspi, appunto.
Il Fatto Quotidiano scrive che, dopo il crollo del Ponte Morandi e quello del viadotto Madonna del Monte sulla A6, l’episodio “alimenta la psicosi sicurezza sulle autostrade liguri”.
Autostrade, nel comunicato emesso dopo l’incidente, ha parlato di “distacco di una ondulina e di parti
dell’intonaco a cui era collegata. Le cause sono in corso di accertamento”.
Il fatto, però, che la galleria sia a pochi chilometri (sei) dal viadotto Fado, che insieme al Pecetti era stato chiuso e poi riaperto in parte su ordine della magistratura per il degrado evidente, lascia perplessa la Procura di Genova. Il procuratore Cozzi si riserva di aprire un’inchiesta dopo aver ricevuto la relazione della Polizia Stradale, scrive il Fatto, che riporta anche il suo accenno di attacco ad Aspi:
“Siamo all’erta su ogni aspetto della sicurezza sulle nostre autostrade. Anche se preferiremmo non dovercene occupare noi, ma che lo facesse prima chi ha le competenze adatte”.
Oggi l’ad di Autostrade, Tomasi, incontrerà il ministro dei Trasporti per fare il punto sulla situazione.
Intanto, però, il quotidiano di Travaglio stila un elenco degli irresponsabili del 2019. Al primo posto, e con il voto in pagella più basso (3) mette proprio Luciano Benetton che è uno degli azionisti di Atlantia (che detiene l’88% di Autostrade).
La sua “annataccia”, per il Fatto, si incardina su un’intervista e su una lettera. L’intervista è quella rilasciata a Repubblica il 17 maggio scorso, in cui difendeva a spada tratta i manager di Atlantia, in particolare Giovanni Castellucci (pur non nominandolo mai).
“Sono sicuro della buona fede dei manager. Nessun imprenditore può immaginare di risparmiare sulla manutenzione dei ponti e delle autostrade”.
Diceva così. Salvo poi, il 1° dicembre scorso, inviare una lettera ai quotidiani in cui cambiava idea.
“Le notizie di questi giorni ci colpiscono e ci sorprendono in modo grave. Di sicuro ci assumiamo la responsabilità di aver scelto un management che si è dimostrato non idoneo”.
Castellucci d’un tratto diventava “non idoneo”, su di lui Benetton scaricava tutte le colpe della malagestione.
Scrive il Fatto:
“Volendogli credere, Benetton è un distratto recidivo. Due anni fa ha ripreso la guida della Benetton dei maglioni accusando i manager a cui l’aveva affidata di “gestione malavitosa”. Gente che giudica i manager solo dai dividendi che consegnano alla famiglia e non cambia idea neppure davanti a 43 morti, ma solo davanti alle prove schiaccianti raccolte dalla magistratura. Degno simbolo della china penosa del capitalismo familiare italiano”.