Intervista al CorSera: “Warhol diceva: gli italiani mi sono simpatici, hanno sempre la patta sdrucita perché continuano a toccarsi lì”

Il Corriere della Sera intervista Gavino Sanna, pubblicitario che ha fatto epoca, con all’attivo 7 Oscar della pubblicità e oltre trenta libri. Nato a Porto Torres, ha vissuto a lungo a New York per poi tornare in Italia, a Milano, dove oggi vive in una casa museo.
Gli chiedono se sarà la bellezza a salvarci:
«Le rispondo così: e chi salverà la bellezza? Il regno della cultura e del buon vivere esiste ancora? Spesso sono gli stranieri a spiegarci che il nostro è un Paese stupendo. Noi fatichiamo ad accorgercene. Roma non sarebbe ridotta in questo modo. E anche la mia Sardegna. Sa una cosa? Siamo in mano ai pasticcioni, ai profittatori, agli odiatori di professione».
Dice di vivere in disparte perché in pace con se stesso e perché ama la solitudine,
«che può essere una magnifica compagna».
Racconta la sua vita da pubblicitario, le campagne, straordinarie, di cui è stato ideatore, gli incontri di una vita. Ma anche gli inizi.
«A scuola ero un somaro, bocciato due volte alle medie. I miei genitori non sapevano cosa fare di me. Poi uno zio ebbe un’intuizione. Gavino, suggerì, è il nipote di uno dei pittori più importanti della Sardegna tra 800 e 900, Mario Paglietti: mandatelo all’istituto d’arte Filippo Figari di Sassari. È stata la mia fortuna. Sono stato l’unico allievo dell’istituto promosso con 10 in disegno dal vero».
Da lì, un crescendo e una serie di circostanze che lo hanno fatto arrivare al culmine. Le campagne pubblicitarie per i Baci Perugina, Gilette, Esso, Motta, Barilla, l’incontro con personaggi famosi, da Franck Sinatra a Catherine Deneuve a Pavarotti a Andy Warhol.
«Seguivo le sue lezioni sul cinema. Raccontava di sé, spiegava come aveva girato Sleep, un anti-film in cui John Giorno dorme per 5 ore e 20 minuti. Il suo studio era un covo di gente bizzarra. Girava sporco di vernice, con la Polaroid in mano. Aveva una collezione di parrucche: la preferita era rosa. Un rivoluzionario. Attaccatissimo alla madre. Diceva: gli italiani mi sono simpatici, hanno sempre la patta sdrucita perché continuano a toccarsi lì. Lo incontravo spesso al Club 54, seduto in un angolo con Truman Capote».
Il ritorno a Milano avvenne quando l’agenzia internazionale Benton and Bowles, che voleva aprire una sede in Italia, gli fece un’offerta irrinunciabile.
«Davanti a me si stendeva la Milano da bere. Avevo appena divorziato. Il mio matrimonio era stato seppellito dalla crisi del settimo anno. Decisi che avrei rivoluzionato il linguaggio della pubblicità e per questo mi feci molti nemici. Una mano me la diede anche Berlusconi, che con le sue tv stava cambiando le regole della comunicazione pubblicitaria».
Racconta il suo incontro con Berlusconi:
«L’ho conosciuto al rientro in Italia. Mi invitò al Gallia per una tavola rotonda. Vedevo che mi fissava da lontano. Mi raccontò: quando ero giovane portavo i capelli come i suoi, poi li ho tagliati e la mia vita è cambiata. Mi dia retta: li tagli anche lei. Se lo fa, ci daremo del tu. È diventato il titolo di uno dei miei libri».
Poi, un bel giorno, mollò tutto per diventare viticoltore.
«Qualche anno fa, mi stavo facendo la barba. Chiamo Lella, mia moglie, e le dico: oggi sento i miei partner americani e vendo tutto. Detto, fatto. Il vino è la mia attività dal 2004. Pensi che nella mia famiglia nessuno beveva. E io sono astemio. Tutto da solo, ho disegnato la bottiglia, il logo e ideato gli slogan per il lancio, un vero atto d’amore per la Sardegna. Così, nel Sulcis, è nata Cantina Mesa».
Come si definirebbe?
«Gavino, che si diverte come un bambino a fare le caricature»