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Callejon, 3 minuti da terzino e 56 da boh. L’esultanza mite al gol di Lozano

Le 10 cose di Milan-Napoli. Per Callejon un match senza passaggi chiave, lui che è terzo in Serie A in questa classifica. La simulazione di Elmas. I palloni persi da Younes

Callejon, 3 minuti da terzino e 56 da boh. L’esultanza mite al gol di Lozano

Uno. I primi 3 minuti di Callejon terzino e gli altri 56 da boh. Terzino non per scelta di Ancelotti ma per costrizione, per necessità. Hernandez in sovrapposizione lo mette all’angolo e Bonaventura lo martella di finte e piroette come Ali a Kinshasa con Foreman. Ancelotti dalla panchina gli deve urlare di andare a prendere Hernandez più alto perché José si fa schiacciare come non abbiamo visto mai. Al 59′ Ancelotti gli griderà invece di venire via, fuori, risparmiandogli il fastidio di una seconda parte di serata che Callejon dava l’impressione di non aver nessuna voglia di vivere. Ha chiuso con 25 palloni toccati in tutto, un tiro calciato fuori sul primo palo quando in genere incrocia sul palo lontano, il numero più alto di falli commessi nella stagione (2) e zero passaggi chiave. Zero. I passaggi chiave sono quelli che mettono un compagno nella condizione di tirare in porta. E’ una voce che vede Callejon al terzo posto in Serie A dietro Pulgar e Luis Alberto. Che faccia zero è un problema, se non lo vogliamo chiamare un segnale. E’ l’incarnazione della partita senza gioia

Due. La danza di Insigne al 24’. Nei primi 20’ si intuisce che ha gamba e smalto, la Nazionale gli ha fatto bene. Deve avergli ripulito almeno parzialmente i pensieri. Al limite dell’area gioca con i piedi e con le anche come un ballerino di tango e scivolando calcia in mezzo a quattro avversari intorno a lui nel raggio di un metro e mezzo. Riesce a mandare la palla sulla traversa, che è sempre un bell’obiettivo per il Napoli in ogni partita. 

Tre. L’esultanza mite al gol di Lozano. L’abilità del messicano consiste nel non farsi trovare in fuorigioco e nella scelta del tempo giusto per lo stacco che gli consente di arrivare sulla palla con la massima velocità per l’impatto. Sceglie l’angolo più coperto da Donnarumma prendendosi un rischio ma sceglie bene. Va ad abbracciarlo Elmas e basta. Callejon batte poco poco le mani e tiene la testa bassa. Zielinski e Allan gli danno un cinque come se fosse il 7-0 del derby del cuore tra la Nazionale cantanti e l’Italia 82. Nei paraggi della gioia Insigne non si vede. 

Quattro. La tassa San Siro. Gran gesto di Bonaventura che segna con un tiro alla maniera anni 70, gamba bloccata dopo l’impatto col pallone per un colpo pieno, un tiro che da fuori area viaggia veloce e buca l’aria. Tipico, classico, consueto, solito, fotocopiato gol che nella nostra storia prendiamo a San Siro, con uno spazio lasciato da Allan e Zielinski che si sposta in ritardo.

Cinque. Daniel Maldini in tribuna. Se ci sono il figlio di De Laurentiis in tribuna (al telefono) e il figlio di Ancelotti in panchina, Pioli si convince che è il giorno giusto per portare il figlio di Maldini in panchina. 

Sei. Lo scavetto di Insigne e il ghiaccio al braccio. La palla gol più grande e pulita dell’intera partita. Insigne si trova da solo davanti a Donnarumma e sceglie di provare a scavalcare i suoi due metri accovacciati con uno scavetto. Un’assenza di lucidità in una partita tutta accigliata, giocata con molta stizza verso se stesso anche in un altro paio di occasioni che non si gioca fino in fondo. Ha chiuso con 4 tiri verso la porta del Milan, 2 dribbling riusciti e il ghiaccio al braccio per un colpo. 

Sette. Il muro di Koulibaly su Piatek. Si lancia davanti ai piedi del polacco che per fortuna sembra uno del Napoli, moscio, senza tanta voglia di lasciare una traccia, ben distante dal centravanti che ci fece male in Coppa Italia. Kalidou diventato capitano chiude la partita con 97 tocchi, il giocatore più coinvolto nelle azioni. Dietro di lui Maksimovic con 84. Era da molto che i due giocatori con più partecipazione non erano i due centrali difensivi. Significa che la squadra si è rifugiata nel palleggio basso anziché cercare la manovra sugli esterni che è un tratto identitario del gioco impostato da Ancelotti quest’anno, o quantomeno del gioco come avrebbe voluto impostarlo. Un ritorno in una comfort zone, un altro segnale di tensione e disagio. 

Otto. La simulazione di Elmas. Non si fa. Detto questo, a leggere tra le righe del tuffo che il macedone azzarda mentre Donnarumma gli esce sui piedi, si vede una intraprendenza e una voglia di inventarsi qualcosa, anche solo un’astuzia, una furbata, per ribellarsi al pigro svolgimento di un compito. 

Nove. Lo stop di petto di Allan. Dal limite dell’area. Stop di petto, pallone in discesa e tiro al volo dal quale Donnarumma non si fa sorprendere. Nel mare calmo del Napoli, ci mette un’energia superiore alla media. Chiude con 6 tackle – più di tutti – e con due tiri nello specchio: altro dato fuori norma. 

Dieci. I palloni persi da Younes. Sta in campo per mezz’ora, non poco, e chiude con una percentuale di passaggi precisi imbarazzante, al di sotto del 70%. E’ pesante nelle gambe, rigido nel tronco, velleitario nelle iniziative (un colpo di tacco), confuso nelle idee. Sembra fuori contesto. Inadeguato perfino a una partita senza gioia. 

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