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Tutto su Pépé: «Prima, volevo solo umiliare l’avversario. Ora ho capito. Mi considero un lavoratore»

Intervista-testimonianza a France Football: «Fino a 14 anni giocavo in porta. È dall’atteggiamento dei difensori che ho capito di essere entrato in un’altra dimensione»

Tutto su Pépé: «Prima, volevo solo umiliare l’avversario. Ora ho capito. Mi considero un lavoratore»

Estratti da una lunga intervista-testimonianza concessa da Pépé a France Football

Prima volevo umiliare l’avversario

A Orleans ero un giocatore di spettacolo. Prendevo il sopravvento sull’avversario e mi dicevo: resto su di lui per umiliarlo. Per me, quando avevo fatto questo, avevo fatto la mia partita. Oggi lo sento quando il difensore ha paura. Ma prendo il mio spazio senza il bisogno di forzare il dribbling, e so di poter contare su giocatori che possono darmi palloni che mi consentono di finire l’azione. Se calciassi, lo farei per tirare in porta o per mettere al centro. Bisogna che l’azione abbia un obiettivo, che porti un vantaggio alla squadra. Ora l’ho capito. Bisogna essere cinici ed efficaci. Tutti i grandi lo sono. Non mi pongo limiti, voglio migliorare costantemente, spero di non fermarmi mai.

Fino a 14 anni ero portiere

Fino a 14 anni ho giocato in porta nel mio club: l’Fc Solitaire Paris Est. Quando mio padre (agente penitenziario) è stato trasferito a Poitiers, ho deciso di togliermi i guanti. Ero un buon portiere e mi è servito. Nel mio college, c’era la sezione calcio del Psg, e non ho dimenticato gli allenamenti. So come un portiere si piazza in determinate situazioni. E quindi so come e dove mettere il pallone.

Tagliati la cresta

Se non avessi incontrato sulla mia strada Abdel Bouhazama (il responsabile del centro di formazione dell’Angers), forse oggi non sarei qui. La prima volta che l’ho incrociato, ero con i miei genitori e avevo una grande cresta. Lui mi ha stretto la mano trenta secondi, non la lasciava e mi guardava dritto negli occhi: “Taglia quei capelli”. Pensavo che scherzasse ma era tremendamente serio. Due settimane più tardi, è tornato: “Se non ti tagli i capelli, hai chiuso con gli allenamenti”. Non mi sarei certo privato della mia passione per una questione di capelli e allora mi sono detto che avrei rispettato le regole di condotta. Spesso ci svegliava alle sei del mattino per andare a correre e ci fermava davanti a netturbini all’opera e gridava: “Guardateli”. Voleva farci capire che era pieno di persone che non avevano la nostra fortuna.

Non voglio essere un giocatore superfluo

Guardando com’ero prima, posso dire che non amavo quel che facevo o che non volevo fare niente. Di me si poteva dire: se ne frega. Prendevo il calcio per un gioco, per un divertimento, un piacere. Ora no, è il mio mestiere. Se confrontiamo un video di dieci secondi di quattro anni fa con uno di oggi, ci sarà una grande differenza nell’atteggiamento. Sul campo potevo innervosire i miei compagni. Di quel che facevo, non rimaneva nulla. Dribblavo un giocatore ma non c’era un obiettivo. Volevo giocare da solo. Correvo solo dov’era il pallone. Ora, a Lille, cerco l’efficacia e mi sacrifico per gli altri. Prima, c’era l’io; ora c’è il noi. Non sono più quello che si definiva il più forte. Sono cambiato, maturato e spero di farlo ancora. Non voglio brillare per me, ma per la squadra. Non voglio essere un giocatore superfluo né un giocatore che brilla da solo.

Non sono un fenomeno. Un fenomeno sa di essere unico e si accontenta del minimo. Io mi considero un lavoratore.

La gente vuole vedere se sono un fuoco di paglia

Ormai mi aspettano, lo so. Quindi devo essere sempre al massimo. Mi metto nelle condizioni per segnare, far segnare o far vincere la mia squadra. È una sensazione nuova per me. La gente vuole vedere se sono un fuoco di paglia. Mi preparo per dimostrare loro che non lo sono. È dall’atteggiamento dei difensori che ho capito di essere entrato in un’altra dimensione. Alcuni che ho già affrontato, non si comportano più nello stesso modo. Alcuni mi temono, lo sento. È una sfida mentale. Ricevo un “trattamento di favore”. Subisco molti colpi, volano insulti.

Non faccio caso al mio valore di mercato

Non faccio caso al mio valore di mercato. Quando il presidente dice 100 milioni (o Campos 80), vuol dire che ho cambiato dimensione ma io sono focalizzato sul calcio e basta. I miei genitori e i miei agenti mi proteggono. Non ho mai avuto momenti di smarrimento legati alla notorietà. L’ascensore sale ma può anche scendere. Resto con i piedi per terra. Dopo la Coppa d’Africa si vedrà. Molti giovani vanno all’estero, poi si perdono e tornano ma non raggiungono più lo stesso livello. Mi servo del loro esempio per non commettere gli stessi errori. Non voglio bruciare le tappe. Ho un piano per la mia carriera e voglio rispettarlo.

Tolosa

La scorsa stagione è stata molto complicata. I grandi giocatori si assumono le loro responsabilità, non mi fanno paura. I grandi giocatori vanno in campo e dimostrano di poter far vincere la loro squadra. È quel che ho voglia di fare. Ed è quel che ho fatto a Tolosa (doppietta e vittoria 3-2 alla 36esima giornata, primo gol su assist di Malcuit). È stato l’incontro più teso, la nostra ultima occasione (era uno scontro salvezza, il Lille rischiava seriamente di retrocedere, ndr). Quando ho segnato il terzo gol, ho sentito nella squadra una voglia di aiutarsi a vicenda. È stato un gol che ha fatto scattare qualcosa. Nello spogliatoio l’allenatore era quasi in lacrime. È stato il momento più intenso della mia breve carriera.

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