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Ponte Morandi. Il perito del gip: “Chi non è intervenuto non dovrebbe dormire la notte”

La tv svizzera trasmette il documentario “Il ponte spezzato”. Cozzi: “Il ponte andava chiuso perché non sicuro”. E si parla del video del crollo

Ponte Morandi. Il perito del gip: “Chi non è intervenuto non dovrebbe dormire la notte”

Giovedì scorso la Rsi-Radiotelevisione svizzera ha mandato in onda il documentario “Il ponte spezzato”, un filmato di 80 minuti dedicato al crollo del Ponte Morandi realizzato nell’ambito del settimanale di inchiesta “Falò”.

A noi che seguiamo la vicenda dal primo giorno sembra un prodotto molto ben fatto, che ricostruisce gli aspetti controversi della tragedia e i documenti più importanti ed è arricchito da interviste ad alcuni sopravvissuti, sfollati, parenti delle vittime, vigili del fuoco intervenuti sul luogo del disastro e interessanti testimonianze di periti e consulenti e anche del procuratore di Genova, Francesco Cozzi. L’emittente elvetica aveva avuto, tra l’altro, l’esclusiva per seguire i rilievi del laboratorio Empa di Zurigo sui reperti del viadotto crollato.

Il ponte lasciato al suo destino

Avrebbe dovuto essere un sorvegliato speciale, citato nei libri come esempio di ingegneria, invece è stato lasciato al suo destino. È questa l’introduzione che in studio viene fatta alla visione del filmato.

Ospite del conduttore – oltre che intervistato in diversi punti del documentario – è l’ingegnere Bernhard Elsener, uno dei consulenti nominati dal gip Angela Tutini per l’incidente probatorio relativo all’inchiesta sul crollo del Morandi (insieme a Massimo Losa e Giampaolo Rosati). Docente al Politecnico di Zurigo e all’Università di Cagliari, è specializzato in durabilità delle opere in calcestruzzo.

L’assenza della ridondanza

Elsener spiega gli esiti delle indagini dei periti sugli stralli: “I cavi sono apparsi assottigliati, si spezzano facilmente, sono corrosi”. Il perito attribuisce la corrosione all’azione dell’acqua, che si è insinuata all’interno degli stralli a causa delle fessure lasciate dal calcestruzzo in seguito alla colata in diagonale. Sarebbe stata più sicura una colata in verticale, come quella che avviene nei piloni.

Elsener riconosce l’estrema modernità della struttura disegnata da Morandi, per quei tempi rivoluzionaria, ma spiega che, dal punto di vista statico, presentava un difetto oggi chiaro, cioè l’assenza di ridondanza: “Gli stralli erano solo quattro, per cui quando uno si rompe cade tutto il ponte. Oggi si fanno ponti strallati ma con 8, 10, 12 e più cavi che li tengono da ciascuna parte, per cui se se ne rompe uno non succede niente perché gli altri riescono a tenere il ponte in piedi. È questa che si chiama ridondanza”.

“Quelli del pilone 9 erano foruncoli”

Tra gli intervistati c’è anche Gabriele Camomilla, ex direttore ricerca e manutenzione di Autostrade, oggi tra gli indagati per il crollo, che nel 1993 coordinò l’intervento sui tiranti del pilone 11, l’unico intervento strutturale eseguito sul Morandi: “Faceva impressione quello strallo, mi ricordo la paura nella pancia – dichiara – Sugli altri piloni non intervenimmo perché stavano bene. Non avevano nessun tipo di danneggiamento grave, solo qualche piccola corrosione. Quello del pilone 11 era un tumore maligno, gli altri erano foruncoli. In base a questi dati scelsi di non intervenire, perché il rischio era maggiore intervenendo”.

La teoria dei cigni neri

L’intervistatore gli fa notare la stranezza di aver aspettato tanto tempo prima di progettare un intervento di retrofitting sulla pila 9, crollata ad agosto. Questa la risposta dell’ingegnere: “La vita è strana. Certe volte la fantasia supera la realtà. Vogliamo chiederci allora perché il ponte è caduto? Poteva anche non cadere. Io penso che ci sia stato un evento scatenante, quelli che ho chiamato cigni neri”.

Camomilla si riferisce alla teoria secondo cui più fattori si combinano provocando un evento imprevisto. Tra le varie ipotesi concause del disastro, l’ingegnere suggerisce quella della famosa bobina forse caduta da un camion in transito sul viadotto (ipotesi già smontata da tempo, come già raccontato su queste pagine) e quella di un fulmine che sarebbe entrato nella parte metallica dello strallo grazie all’asfalto bagnato e alla conduttività. “Potrebbe non essere tutta colpa di Autostrade”, dice Camomilla.

Bernhard Elsener, interpellato sul punto in studio, sorride: “Rimaniamo con i piedi per terra e non cerchiamo cose di fantasia che secondo me non hanno contribuito… con il fulmine non succede niente perché la struttura è come un parafulmine, la bobina, poi, aveva un peso consentito sul ponte. Sono tutti “petardi di nebbia che vengono messi in giro”. Se nel 1993 avessero riparato tutti i piloni, il ponte oggi sarebbe in piedi”.

Carmelo Gentile: “Annotai le anomalie. Che altro potevo fare?”

Nel filmato è lasciato ampio spazio anche al professor Carmelo Gentile, consulente del Politecnico di Milano. Nel 2007 Autostrade gli commissionò uno studio sulle condizioni del viadotto. In esso Gentile sollevò dubbi sullo stato di salute degli stralli della pila 9 e la 10. Lo scorso ottobre, interrogato dai pm, disse: “Con i dati dei monitoraggi disponibili, il viadotto andava chiuso”.

Gentile è stato l’ultimo ad aver analizzato il ponte quando era ancora piedi, undici mesi prima del crollo. nel documentario racconta i dati sulle anomalie della pila 9 e anche di aver chiesto approfondimenti a Spea e di aver proposto l’installazione di sensori ad hoc per sorvegliare l’evoluzione della condizione strutturale del ponte. Ma dice anche che nessuno gli rispose mai sul punto.

“Un ponte che sta in tutti i libri di storia, realizzato 60 anni fa, con condizioni di traffico molto particolari, con criticità che erano già state evidenziate con gli interventi degli anni ’90… se in Italia c’era un ponte che andava monitorato era il viadotto sul Polcevera. Ma non da ora, già da 10 anni fa”, dice.

Come mai, allora, non ha insistito a lanciare l’allarme? “Cosa dovevo fare? – risponde il professore – Se ti dico che hai un problema e sono un medico e tu vai tranquillamente in giro trascurando il problema, sei tu che non stai seguendo il parere del medico”.

In studio, Bernhard Elsener spende parole anche per lui: “Doveva sollecitare o rivolgersi al Ministero, non può dormire tranquillamente”.

Cozzi: “Il ponte andava chiuso perché non sicuro”

Anche il procuratore capo di Genova, Francesco Cozzi è intervistato nel documentario di Falò. Si sofferma sui modesti investimenti in manutenzione effettuati negli ultimi anni su quel tratto di autostrada e poi dice: “Il ponte andava chiuso al traffico perché non era in condizione di garantire la sicurezza della circolazione come deve fare un ponte di quella grandezza e struttura”.

Cozzi chiarisce anche che lo Stato, in base alla concessione, aveva un potere di controllo, non un obbligo: “Questo ultimo imporrebbe cadenze precise di intervento, il potere, invece, anche se apparentemente dà l’idea di una maggiore possibilità e forza, se non è accompagnato da specifiche prescrizioni e adempimenti rischia di essere molto più debole. Sicuramente c’è una struttura, un modello di organizzazione generale che crea molta perplessità, perché da un lato svuota molto anche sul piano concreto gli adempimenti di vigilanza specifica, dall’altro li impoverisce sul piano delle risorse umane ed economiche, per cui con quali forze e mezzi si fanno questi controlli? È chiaro che in questo modo la bilancia pende dalla parte del concessionario, che ha tutti gli oneri e gli onori della questione e ovviamente la responsabilità”.

Il video secretato

Molto interessante anche la dichiarazione del colonnello della Guardia di Finanza Ivan Bixio che, finalmente, getta una luce sulla questione dei video ampiamente analizzata da noi nei mesi scorsi.

Due giorni dopo la tragedia la finanza sequestrò tutti i filmati sul crollo, quelli girati dalle telecamere di sorveglianza, dai telefonini e dai sistemi di sicurezza montati sulle auto: le telecamere di Autostrade puntate sugli svincoli non erano posizionate sulla pila nove.

“Il secondo filmato che abbiamo acquisito, quello di Ferrometal – dichiara Bixio – è l’unico filmato che riprende il momento del crollo. Lo fa con una telecamera di sicurezza in alta definizione, con una visuale quasi completa. È secretato perché si comprende come avviene il crollo e questo naturalmente aiuta molto in quelle che possono essere state le cause”.

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