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Il resettare di De Laurentiis adesso è accettato da tutti

Le sue dichiarazioni di due mesi fa a Liverpool provocarono un putiferio. Disse cose di buon senso. Dopo l’addio di Hamsik, è il tema del momento

Il resettare di De Laurentiis adesso è accettato da tutti
Foto della SscNapoli

Una Cassandra dei giorni nostri

De Laurentiis è una sorta di Cassandra. A differenza della mitologica sacerdotessa, il presidente del Napoli non prevede solo disastri. Ma ogni sua dichiarazione, in genere, soprattutto a Napoli, viene accolta da strepiti, ribellioni social, insomma quel meccanismo che ben conosciamo. I fatti, dopo un po’ di tempo, gli danno ragione. Potremmo dire sempre. Limitiamoci a un quasi sempre, magari ci sfugge qualcosa. Sullo stadio da 20mila o 30mila posti, ad esempio, ha avuto ragione da vendere. Aveva ragione lui.

Una delle ultime affermazioni di De Laurentiis risale allo scorso 11 dicembre, poche ore prima di Liverpool-Napoli. A qualificazione ancora aperta, il presidente dichiarò che nulla sarebbe cambiato in caso di eliminazione, che l’investimento era stato Ancelotti e che bisognava dargli il tempo di resettare. Un concetto normalissimo, fisiologico, persino banale in qualsiasi club del mondo. Non a Napoli. Dove il termine resettare venne considerato lesa maestà nei confronti del gruppo Napoli.

Quel che altrove avviene nella massima serenità, anzi viene auspicato: il ricambio generazionale, a Napoli è visto come un attacco alla squadra. Un principio che – lo abbiamo detto più volte – ha indotto il Napoli a saltare due campagne cessioni (eccezioni fatta per Jorginho) e quindi a ritrovarsi con calciatori più “anziani” e quindi più difficili da vendere. E qui anche De Laurentiis ha le sue responsabilità; a dispetto della nomea che lo accompagna, il presidente è un conservatore. Altro che modello Udinese.

Dopo l’addio di Hamsik

Oggi, dopo l’addio di Hamsik che ha scelto di terminare in Cina la sua carriera, è chiaro a tutti che la priorità del club è quella di rinnovare il parco giocatori. È stato un gruppo eccellente, che l’anno scorso ha sfiorato lo scudetto, che quattro anni fa ha sfiorato l’Europa League. È un gruppo che è arrivato al capolinea. Adesso tutti parlano di questo tema. Addirittura esagerando. Come se l’anno prossimo dovessero partire tutti. Il che non è affatto detto.

Ma non c’è nulla di male nel dire che una società come il Napoli – che, come abbiamo visto, non può contare su un fatturato strutturale – deve anche vendere i propri calciatori quando sono al culmine della loro carriera. Come, ad esempio, era il caso di Mertens due anni fa. Come è avvenuto per Jorginho la scorsa estate. Sono investimenti. Il Napoli non è il Real Madrid, non è il Manchester City. Sono concetti che ripetiamo ormai inutilmente da anni.

Ancelotti, come abbiamo più volte scritto, è l’allenatore ideale per il Napoli di De Laurentiis. Innanzitutto perché è un grande, grandissimo allenatore. E fin qui, lo sapevamo tutti. Ma soprattutto perché, avendo lavorato in un grande club, sa come deve funzionare in un club come il Napoli che non può vivere sugli allori. Deve essere un club sempre pronto a rinnovarsi, a trovare giovani di valore su cui investire. Come Fabian Ruiz. Come Zielinski. Come Diawara. Che oggi sono tre dei quattro centrocampisti degli azzurri.

Il Napoli deve giocare d’anticipo. Non è un colosso, né lo sarà mai. È una società che vive nettamente al di sopra delle proprie possibilità, come si evince dall’albo d’oro e dal cursus honorum. Mai, nella sua storia, il Napoli era stato dieci anni consecutivi in Europa. Mai era stato così a lungo competitivo in Italia. Piaccia o no, tutto questo è dovuto alla capacità e alla vision di Aurelio De Laurentiis. Che per nostra fortuna vede i fenomeni ben prima degli altri. E spesso, non sempre purtroppo, tira dritto per la propria strada.

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