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Già in estate servivano scelte coraggiose, il Napoli di Ancelotti non può più rimandarle

Il gruppo storico andava ringraziato e poi smantellato con l’arrivo del nuovo allenatore. Un errore che non può essere ripetuto

Già in estate servivano scelte coraggiose, il Napoli di Ancelotti non può più rimandarle

Il Napoli non ha varcato il Rubicone

In una fredda notte di gennaio del 49 a.C., Giulio Cesare, proconsole in Gallia, prese la decisione che lo consacrò ai grandi della storia dell’umanità; varcò, in armi, il Rubicone, confine geografico dell’Italia romana, dichiarando guerra al senato e a Pompeo, suo vecchio sodale, divenuto oppositore durante la campagna di Gallia.

In una fredda notte di gennaio del 2019, il Napoli di Carlo Ancelotti è stato sbattuto fuori dalla Coppa Italia dopo una sconfitta sonora contro il Milan; e, forse, nella lunga e fredda notte meneghina, si è trovato dinnanzi ad una triste ma ineludibile verità.

Il Napoli non ha ancora varcato il suo Rubicone; non ha, dunque, rotto gli indugi e dato vita ad una nuova fase della sua storia, rimanendo vittima della sua dimensione.

L’arrivo di Carlo Ancelotti, quest’estate, aveva lasciato di sasso praticamente tutti; la scelta di De Laurentiis di puntare sull’allenatore europeo più vincente aveva oscurato la brutalità dell’addio con Sarri, il condottiero che negli ultimi tre anni aveva costruito l’immaginifica idea della presa del palazzo. 

I diversi profili dei due tecnici, l’uno autorevole e pacato, l’altro ammaliante e impetuoso, l’uno ideologo, l’altro pragmatico, hanno fatto sì che il confronto tra i due condizionasse ancestralmente ogni disamina sulla squadra.

La continuità del progetto tecnico

La società, al netto della scelta dell’allenatore di Reggiolo, ha predicato una sostanziale continuità del progetto tecnicoin primis, confermando in blocco la rosa (via il solo Jorginho), poi, puntellandola qua e là con pochissimi innesti destinati a rinfoltire la panchina (eccezion fatta per Fabian e i portieri).

Una scelta fondata, a ben vedere, su una lettura degli ultimi mesi con Sarri: De Laurentiis si era convinto che la rosa del Napoli a disposizione dell’allenatore non fosse tanto corta al punto di ignorare larga parte della panchina, così come era avvenuto nella stagione appena conclusasi.

La continuità strutturale del progetto, allora, ha avuto un avallo dall’allenatore che ha evidentemente visto negli uomini a sua disposizione le qualità adatte alla sua idea di calcio.

Qui entrano in gioco la professionalità dello staff, nonché l’attendibilità delle parole; e, chiunque ritenga che Ancelotti abbia accettato diktat dall’alto per regalarsi uno stipendio, non merita commenti. Che Ancelotti abbia bisogno dei soldi del Napoli, infatti, è una vera e propria barzelletta che onestamente fa anche poco ridere per quanto strampalata.

Dunque, il Napoli ha confermato il gruppo degli ultimi tre anni con Sarri; un gruppo che, ricordiamolo, si è visto sfilare lo scudetto dalla maglia. Un gruppo che, ahinoi, ha maturato una esperienza di rincorse mai portate a termine, con tutto ciò che significa in termini di tossine e perdita di motivazioni. Senza considerare che il tempo passa per tutti e che Albiol, Callejon, Mertens e Hamsik hanno più di trent’anni ed iniziano a vedere la parabola discendente della loro carriera.

Liverpool crocevia della stagione

Intanto, però, la prima parte di stagione è stata brillante; certo, dei momenti a vuoto ce ne sono stati (cfr. Sampdoria, Juventus, Liverpool e Inter), ma c’è da dire che, complice il girone di ferro di Champions, questa squadra ha tirato fuori gli attributi, calandosi appieno nel nuovo progetto tecnico dell’allenatore. Non è pleonastico sottolineare come le prestazioni contro PSG e Liverpool siano state, probabilmente, le migliori partite europee della storia del Napoli.

La solita sfortunata eliminazione contro il Liverpool, però, sembra essere diventata il crocevia della stagione: questa squadra, dopo l’ennesima rincorsa, è uscita dal girone immeritatamente, frustrando le ambizioni di un gruppo che, almeno, cercava in Europa la consacrazione che l’Italia, egemonizzata dal potere juventino, gli ha negato.

Per Mertens, per Hamsik, per Koulibaly, la Champions è stato il palcoscenico per affermare con forza il ruolo da protagonisti del calcio europeo, nonché il banco di prova per provare effettivamente a competere con i top club.

Sfiorito anche questo ennesimo sogno – e ripeto non per colpe nostre – cosa può spingere i giocatori a dare il meglio di sé negli allenamenti, con la Juventus che oramai fa campionato a sé e con l’inerzia di una storia personale fatta per di più di sconfitte?

Ecco, il Napoli, quest’estate ha avuto l’opportunità di varcare il suo Rubicone, salutando con gli onori dei caduti i grandi eroi del sarrismo, ripartendo dalle giovani leve e da un gruppo rinnovato negli stimoli, più che nei singoli, magari con l’innesto di qualche campione affermato desideroso di nuove sfide (cfr. Di Maria, ad esempio). 

Mertens (la cui collocazione cozza irrimediabilmente con quella di Insigne e con la giusta necessità di puntare su Milik), Albiol (fisicamente provato dal ritorno ad una linea difensiva alta e di posizione), Callejon (infaticabile, ma sempre più sterile in zona gol), potevano (dovevano) essere ceduti in estate, per essere sostituiti da profili più congeniali con il calcio dell’allenatore; così come Allan, stratosferico fino a dicembre, a certe cifre poteva essere venduto, per assicurare un ricambio generazionale ad un reparto schizofrenico.

E così ancora Hysaj, mai parso convincente nel nuovo calcio responsabilizzante di Ancelotti, i due giovanotti Diawara e Rog (quest’ultimo partito a gennaio) sui quali bisognerà un giorno decidere se puntare o meno. 

Ed infine Hamsik, la cui luce, checché ne dicano i critici di questa ceppa, ha guidato la squadra nella campagna d’Europa, ma che da troppo tempo vive il conflitto tra un contrattone milionario prospettatogli ed un posto in squadra sempre più messo in discussione.

Ancelotti ha ereditato un gruppo forte, tecnicamente ed umanamente; ma che, con il tempo, si è accomodato alla retorica del destino infausto.

Decidano, Giuntoli, Carletto ed il presidente, se imprimere un’accelerata inevitabile o se continuare a traccheggiare. A questa squadra, la stagione può dire poco ancora, vista la difficoltà di arrivare in fondo alla Europa League. Che i ragazzi, senz’altro, meriterebbero per quanto hanno patito, ma che non dovrà in alcun modo spostare più in là l’esigenza manifestatasi in questi giorni di un rinnovamento che abbia più i connotati di una rivoluzione che quelli di una lenta metamorfosi.

D’altronde, anche ai leader calmi è richiesto il coraggio delle scelte difficili: ed è da queste che passeranno in ogni caso le sorti del nostro Napoli.

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