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Marotta esulta, la juventinità di Nedved: una gara di stranezze

«Forse non è mai stato juventino». Le parole di Nedved sono ancora più grottesche dell’abbraccio tra Marotta e Javier Zanetti. È la realtà del professionismo, e Pavel lo sa eccome.

Marotta esulta, la juventinità di Nedved: una gara di stranezze

Cosa è successo

Beppe Marotta è diventato amministratore delegato dell’Inter. Una cosa strana di per sé, ma solo per chi non è pienamente consapevole rispetto all’attuale scenario iper-professionalizzato del calcio. Non c’è fede sportiva, automaticamente non può esserci coerenza identitaria. E allora fa strano, ma al contempo è normale, che l’amministratore delegato dell’Inter abbracci il presidente Zhang e il simbolo nerazzurro Javier Zanetti dopo un gol di Icardi. Anche se quest’uomo, non più di due mesi e mezzo fa, rilasciava interviste come dirigente di punta della Juventus. Anche se lo stesso uomo, non più tardi di sette mesi fa, festeggiava la vittoria di uno scudetto della Juventus indicando il numero di titoli che la società bianconera avrebbe vinto “sul campo”. Secondo il vecchio Marotta erano 36. Uno di questi è stato assegnato a tavolino ad un’altra squadra. Alla sua nuova squadra. Poche ore prima è arrivata la sentenza della Cassazione: lo scudetto del 2006 è andato all’Inter.

Ripetiamo, ci ripetiamo. Fa strano, ma siamo nell’era del calcio-business. Del neocalcio per cui un dirigente della Juve può diventare dirigente dell’Inter. E allora deve esultare per un gol dell’Inter. In realtà non è che il passato sia così tanto diverso: Italo Allodi, general manager ante-litteram del nostro calcio, ha lavorato con Inter e Juventus prima di costruire il primo scudetto del Napoli. Lo stesso Moggi – corteggiato apertamente da Moratti in più occasioni – ha lavorato con Napoli, Roma e Torino prima di passare alla Juventus.

Non c’è niente di nuovo o di diverso, c’è solo lo sgretolamento dell’immaginario tifoso e del tifoso. Resta la sensazione di strano, una sorta di amaro in bocca che però ha anche il sapore della verità. Un sapore che può essere agre o dolce, ma che non accetta compromessi. Questa è la realtà delle cose, dei fatti, del calcio. I sostenitori dell’Inter ameranno alla follia Marotta se l’Inter farà bene, vincerà gli scudetti. Marotta esulterà, e sarà tutto normale. Un apolide in casa, come quello che ha fatto così bene alla Juventus. Basta saperlo.

Nedved

È lo stesso messaggio che vogliamo lanciare all’altro grande protagonista della vicenda. Ovvero, il signor Pavel Nedved, dirigente della Juventus. Commentando l’esultanza del suo ex collega, Nedved ha detto: «È strano vederlo all’Inter. Lui è un professionista, forse non è stato juventino». Buongiorno, mister Pavel.

È la vera notizia, anche se è una contro-notizia. Nedved riconosce ora, solo ora, che Marotta non è mai stato juventino. Forse, però. È il commento più strano ad una vicenda già strana di per sé, anzi è il fatto che balza subito in vetta all’hit parade delle stranezze. Caro Pavel, certo che Marotta non è mai stato juventino. Lo è diventato per contratto, per otto lunghi anni di lavoro. Esattamente come te, che un giorno passasti dalla Lazio (cinque anni in biancoceleste) ai bianconeri. Un simbolo della miglior Lazio di sempre, poi un emblema colorato di bianconero. Non ti stiamo accusando di banderuolismo, è semplicemente professionismo. Nel club più e meglio professionalizzato d’Italia, dovreste conoscere queste dinamiche.

E invece ecco la dichiarazione fatta su misura per i tifosi, come se trattarli per quello che sono – esseri senzienti, non analfabeti dei colori sociali – e dire la verità, mostrargli la realtà, possa essere un sacrilegio. La verità, proprio come la realtà sono sotto gli occhi di tutti, caro Nedved. Anche dei tuoi, basta leggere la tua storia. Solo che hai scelto di dimenticare un bel po’ di cose, così da dare in pasto ai tifosi quello che volevano leggere e sentire. Comprendiamo più Marotta, lasciatelo dire. Il resto è un’esultanza un po’ forzata, che diventerà routine tra qualche tempo, per tutti i gol di Icardi. Com’è giusto che sia, anche se fa strano.

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