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Insigne è il modello di Napoli (e dell’Italia) da esportazione

In Italia conta più il curriculum che l’esperienza, non sa che cosa si perde. Per fortuna Lorenzo ha seguito la propria strada

Insigne è il modello di Napoli (e dell’Italia) da esportazione

“Voi italiani siete come Insigne”

Uno dei complimenti più dolci ed immeritati l’ho ricevuto qualche giorno da una persona straniera che aveva visto la gara d’andata tra Napoli e PSG: “Come si chiama quel giocatore? Insigne. L’ho visto e ho immediatamente pensato che siete voi italiani. Siete pochi e avete i campioni di fronte ma continuate screanzati a far girare quella palla sotto il loro naso ché prima o poi entra. Infatti poi entra”.

Me lo bacerei

Io, che di Insigne non sono l’unghia del mignolo del piede sinistro, che sono anni che come altre migliaia non godo di reale rappresentanza politica, vorrei baciarmelo, Lorenzo. Come fa Mr Carletto con i suoi, l’uomo in panchina che ci ha resi uomini, quel Tenente Colombo che il più saggio di tutti – Monsieur Kalidou Koulibaly – ha detto di voler prendere a modello di saggezza per la sua maturazione; l’allenatore che alla domanda di Capello sul perché avesse scelto l’azzardo di far calciare il rigore proprio ad Insigne, visto che Buffon lo conosce bene, ha risposto che anche Insigne conosce molto bene Buffon, sentenziando in una lapidaria manciata di parole cosa sia la mentalità, la forza, la voglia di ribaltare ciò che appare già stabilito. La forza del tuo avversario è anche l’origine della sua debolezza.

L’Italia che non considera l’esperienza

Cara Italia, terra in cui l’esperienza è diventata una stucchevole battaglia burocratica di inutili curricula vitae, ascolta cosa è l’esperienza: aver vissuto tanto assieme alla gioia di voler mettere quanto vissuto al servizio di chi, solo e senza di te, correrà a gioire sotto la sua curva.

Qualcuno in città ancora ricorda i fischi ad Insigne. Qualcuno ancora si illude che siano serviti, che il popolo lo abbia aiutato a formarsi. Beati voi, direbbe Mr Carletto. Insigne se lo porta via il vento, se lo trascina via il talento, se lo rapisce la voglia di lavorare e partire.

A noi, che aspettiamo il suo morso sulla N stampata sulla maglia per morire e rivivere novanta minuti quando si può, rimane la gratitudine. Per avere un vessillo che vince contro se stesso e contro la paura, magari anche la nostra.

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