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Ancelotti è il nostro tenente Colombo

A Napoli non pochi lo considerano una diminutio rispetto a Sarri. Lui – uno dei tecnici più vincenti del calcio – sta al gioco, fa il finto tonto. Un mix tra Liedholm e l’investigatore

Ancelotti è il nostro tenente Colombo

Più Liedholm che Sacchi

Alza il sopracciglio sinistro e il suo sguardo dice decisamente di più ed esprime concetti ben diversi rispetto a quelli che pronuncia. È Carlo Ancelotti il tenente Colombo del Napoli. È così di natura. E ha anche capito l’ambiente in cui ha scelto di lavorare. Lo ha compreso rapidamente.

Carlo Ancelotti, come scrivemmo qualche tempo fa, è sì un ex sacchiano ma è soprattutto un allievo di Liedholm. Col tempo, all’integralismo del primo ha fatto prevalere il saper stare al mondo del secondo. Chissà, forse in cuor suo, l’Arrigo lo considera un rinnegato per dirla alla Bennato. Non ne ha quasi mai parlato da quando è arrivato a Napoli a sostituire il suo Sarri. Solo una frase, nemmeno tanto positiva per il suo vice in Nazionale ai tempi di Usa 94 (“Senza Sarri, il Napoli della bellezza sparirà”). Che è vero, resta da chiedersi se l’obiettivo di una squadra di calcio possa essere la bellezza.

Di riferimenti a Liedholm è pieno il libro scritto con Alciato (“Preferisco la coppa”). Ricordi di un allenatore che sapeva come prendere i calciatori, che sapeva raggiungere un obiettivo senza esplicitarlo, che una volta portò la Roma a vedere la Lazio al Flaminio e finì con i giocatori medicati per le botte prese. Era un filosofo lo svedese che riportò lo scudetto nella capitale.

Quell’aria da finto svagato

Ancelotti è una declinazione di Nils. Meno filosofo, più tenente Colombo. Gli manca l’impermeabile, il vizio del fumo c’è. In alcune espressioni persino il sopracciglio sollevato è lo stesso. Quell’aria da finto svagato; ad alcuni sembra che parli a vanvera e invece ha capito benissimo e aspetta solo il momento in cui i fatti rispondano per lui. Perché tanto le parole le porta via il vento. Non ha un assassino da incastrare, almeno non uno in carne e ossa, ma attua lo stesso metodo dell’investigatore reso celebre da Peter Falk. E che Wim Wenders volle persino ne “Il cielo sopra Berlino”.

Quelli che senza Sarri questa rosa vale poco

Il signor Carlo ha scelto l’unica città dell’orbe terracqueo che non si è emozionata al suo arrivo. Lui, l’uomo che ha alzato tre Champions da allenatore, che ha vinto ovunque è andato, che ha fatto innamorare i fuoriclasse, che è riuscito a strappare un giudizio positivo persino a Zlatan Ibrahimovic, che è trattati da star in tutto il mondo, a Napoli viene considerato da un nutrito gruppo di tifosi come un tecnico superato, che ha vinto tanto ma sempre in grandi squadre (il sottotesto, da alcuni persino esplicitato, è: “vincevo pure io al Real Madrid”). Una evidente (per loro, s’intende) diminutio rispetto a Sarri. L’eccessiva reazione alla sconfitta col Liverpool è figlia di questa idea: il Napoli è arrivato secondo a 91 punti esclusivamente per merito dell’allenatore, ma la sua rosa vale più o meno quella del Cesena. Il Cesena è una forzatura, ovviamente, ma il concetto è quello.

Ancelotti ha capito facendo finta di non capire. In cuor suo avrà sorriso. Ha azionato la modalità tenente Colombo. Decisamente lontano dall’integralismo di Benitez che a Napoli si mise a spiegare il turn-over e a tenere conferenze colte sul modo di gioco scelto. Nulla di tutto questo. Peter Falk elogia il predecessore a ogni intervista, ieri sera addirittura – segnando il record stagionale di crescita del sopracciglio – ha detto che chiamerà l’allenatore del Chelsea per insegnare la fase difensiva al neoacquisto Malcuit. Così come, alla seconda conferenza stampa, dimostrò di aver compreso perfettamente il clima quando disse: «Quando il Napoli perderà, si dirà che è il Napoli di Ancelotti». Come è puntualmente avvenuto dopo il 5-0 subito dal Liverpool.

Ora le accuse di italianismo

Sorriderà alle accuse di italianismo che già sono partite. Dimenticano un altro concetto: il buon senso, il buon senso che soltanto un ex integralista può avere. Per la seria: “impara l’arte e mettila da parte”. Eppure, a ripensarci, Ancelotti i suoi pensieri li ha espressi. Ritiene questa una squadra forte. Considera quelli del Napoli buoni giocatori, tutti: ovviamente chi più e chi meno. Con lui è sparito il concetto di rosa corta. Dall’oggi al domani. Ieri contro il Borussia Dortmund (che fin qui non aveva mai perso) ha schierato quelli che fino all’anno scorso erano considerate riserve senza speranza. E sta spiegando dal giorno del suo arrivo che vuole insegnare a questa squadra a fare più cose.

Ci sarebbe da consultare specialisti della psicanalisi per descrivere un ambiente che tratta uno degli allenatori più vincenti della storia come uno non all’altezza della situazione. Sopravvoliamo, per dirla alla Corrado Guzzanti. In fondo, è meglio così. Probabilmente è una novità per lo stesso Ancelotti: non gli sarà mai capitato di lavorare circondato da tanto scetticismo. E poi è il clima ideale per il tenente Colombo. Se non fosse sottovalutato, avrebbe più difficoltà a incastrare l’assassino.

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