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Il segnale di Ancelotti a Insigne e a tutta la squadra

Prestazione abulica di Insigne, sostituito all’intervallo. Il significato di questo cambiamento, che riscrive le gerarchie del Napoli e spiega il progetto-Ancelotti.

Il segnale di Ancelotti a Insigne e a tutta la squadra

In realtà, è stato un cambio normale

Abbiamo scritto di Lorenzo Insigne, già ieri sera, pochi minuti dopo la partita di Marassi. Poche righe perché Insigne ha avuto poche cose da dire:

«La partita di Lorenzo è stata davvero brutta. Come quella del Napoli. Si è messo in luce soltanto con dopo venti secondi, con quella palla in profondità di Koulibaly che Lorenzo avrebbe potuto anche convertire in gol. Poi niente più. Le statistiche lasciano il tempo che trovano. Ma i dati dei palloni toccati colpiscono: 24 in 45 minuti. Meno di Verdi che negli stessi 45 minuti ne ha toccati 33».

«Colpisce anche il dato di Mertens: 25, appena uno in più rispetto a Lorenzo. Insigne ha toccato 24 pallone con una precisione nei passaggi dell’84,6%. Bassa per i suoi standard. È sembrato un pesce fuor d’acqua. Abulico. Di certo la sostituzione dopo il primo tempo è un segnale forte da parte di Ancelotti che non ha guardato in faccia a uno dei calciatori più rappresentativi».

C’è tutto, più o meno. E il cambio al 45esimo, visto più a freddo, aumenta il suo peso specifico nella narrazione della partita. Per un motivo semplice: è un cambio normale che non sarebbe mai stato fatto in passato. Che appartiene ad un’altra epoca. Bisogna arrivare fino a settembre 2016 per trovare Lorenzo che galleggia tra campo e panchina. Una partita fuori, una dentro, una sostituzione in entrata, una in uscita. Da allora, sempre in campo e praticamente sempre per 90′. Si era meritato questo privilegio. A Genova non è andata così. Anzi, magari tutti si aspettavano Mertens al posto di Verdi oppure il ritorno alle origini con Callejon. Invece, Insigne e Verdi fuori con dentro Mertens e Ounas. Con il francesino migliore in campo alla fine dei giochi.

In realtà, il cambio di Insigne è stato tecnicamente normale, naturale. Fuori un calciatore che stava giocando male, dentro un calciatore che poteva fare potenzialmente meglio. Anche solo potenzialmente, sì. Anche solo per Ancelotti. Senza badare al peso specifico del nome. Oppure badandoci un po’ di più, perché Insigne è Insigne e allora deve rendere bene, se non alla grande quantomeno al suo livello.

Il peso specifico

Ancelotti ha saputo dosare le percezioni: fare una cosa normale eppure dare un segnale forte. Dal punto di vista tecnico, ripetiamo, ha deciso di prendere e assecondare la naturalità delle cose. Dal punto di vista politico, invece, la situazione è ben diversa. È un discorso più ampio, che va dall’aderenza tattica a quella psicologica al nuovo progetto. Insigne è un leader di questo Napoli, in campo e dal punto di vista della riconoscibilità, così come lo era per il Napoli di Sarri. Solo che Ancelotti agisce in maniera diversa, non migliore o peggiore ma diversa. Non si fa scrupoli nel cambiare un uomo, pur all’interno di un meccanismo che finora ha funzionato. Se ritiene che un calciatore non sia utile alla sua squadra in un dato momento, non si fa problemi a tenerlo fuori.

Nel Milan 2002/2003, per dire, rispose al diktat del bel gioco societario provando a far convivere Pirlo, Seedorf, Rivaldo, Shevchenko, Inzaghi e Rui Costa. Poi rinunciò al brasiliano, la stella più luminosa, per poter raggiungere l’obiettivo. L’anno dopo, invece, sposò il sistema ad una sola punta, per esaltare Shevchenko. E promosse Kakà al posto di Rui Costa. Come dire: sarà anche elastico e adattabile, mister Carlo. Ma non fa prigionieri quando è il momento di vincere le partite.

E allora ieri è toccato ad Ounas e Mertens, a un certo punto. Con Callejon e Hamsik gentilmente in panchina fino al 95esimo, perché poi il terzo calciatore ad entrare in campo è stato Marko Rog. Un altro segnale chiaro, per tutto il gruppo: qui si gioca sempre al massimo, e non ci sono privilegiati. Specie quando i suddetti privilegiati eventuali giocano decisamente male.

Insigne lontano da Insigne

Per Lorenzo, un passo indietro rispetto alle partite in casa della Lazio (soprattutto quella) e contro il Milan. Poca incidenza nel gioco e ancor meno partecipazione alle dinamiche di costruzione. Il fatto che si passi meno dai suoi piedi non può e non deve innervosirlo. Il presunto litigio con Verdi – smentito con forza dal Napoli sui social – nasce da un pallone che Simone gli ha servito con un movimento equivoco. Non un cross sbagliato, ma una lettura troppo anticipata delle intenzioni di Lorenzo. Piccola ma significativa ramanzina al compagno d’attacco, un’immagine ricorrente ma che tradisce un certo nervosismo da parte del calciatore.

Insigne deve ritrovare la tranquillità dei suoi colpi. Il calcio di Ancelotti ha una frequenza offensiva inferiore rispetto a quello di Sarri, è più diretto e passa meno per la (sola) fascia sinistra. Insigne non deve essere decisivo sempre, non può esserlo, deve sapersi accontentare della normalità ed essere decisivo quando viene chiamato in causa. È un’evoluzione mentale che può fargli solo bene, dopo che gli ultimi tre anni hanno (s)chiarito la sua dimensione di alto livello. Ora c’è uno step di maturità da percorrere, che passa anche da una panchina o da una partita senza i passaggi giusti da trasformare. Ancelotti lo sa, forse in cuor suo lo sa anche lo stesso Lorenzo. Adattarsi, del resto, è una dote fondamentale.

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