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Repubblica: «L’egemonia juventina sulla Serie A non conviene neanche alla Juventus»

Il commento di Angelo Carotenuto: «Due terzi di serie A incassa i soldi dalle tv senza reinvestirli, si dedica alle plusvalenze e si lega alle alleanze giuste che garantiscano la perpetuazione del giochino».

Repubblica: «L’egemonia juventina sulla Serie A non conviene neanche alla Juventus»

Il commento su Repubblica

Angelo Carotenuto – responsabile dello sport di Repubblica – si interroga sul settimo scudetto della Juventus. Su Repubblica non si scrive di arbitri o di potentati “di palazzo”, bensì di egemonie economiche e tecniche. Che «è tipica di sistemi sottosviluppati».

Leggiamo: «Prima ancora che dedicarsi a Orsato oggi e Ceccarini ieri, dei rossi mancati a Pjanic e Rugani, della Var spenta sul fallo di Benatia con la Lazio e del mani di Bernardeschi a Cagliari, chi volesse davvero avversare la Juventus dovrebbe chiedersi come sia possibile nuotare nel suo stesso mare accettando in partenza di vivere agli estremi della catena alimentare, da plancton, sentendosi per giunta accusato di essere “poco allenante”».

Secondo Carotenuto, il nostro calcio ha un bisogno urgente di «un riequilibrio di forze. Di una presa di coscienza dell’importanza e della dignità di ogni singolo elemento della piramide. La ricchezza è solo l’aspetto più vistoso della questione. L’irruzione dei milioni delle pay tv e gli squilibri nella loro distribuzione hanno stravolto l’albo d’oro. A lungo in Italia si è giocato un altro calcio. Nei ventitré campionati fra il 1969 e il 1991 lo scudetto è andato a undici squadre differenti; cinque non lo avevano mai vinto prima, sei non lo hanno più rivinto dopo. Dall’anno della prima partita criptata a oggi, ventuno scudetti su ventitré sono invece finiti alle stesse tre squadre, le piú potenti, con le eccezioni delle due romane a ridosso del biennio segnato dal Giubileo. Il settennato juventino è la sublimazione di tutto questo, con caratteristiche molto italiane».

La scomparsa della borghesia

Una volta ne parlammo anche noi del Napolista: il male del calcio italiano è la scomparsa del calcio di mezzo, quello borghese, che non lotta per lo scudetto e tantomeno per la salvezza. Lo stesso concetto espresso da Repubblica: «Il duopolio Real-Barça non ha impedito in Spagna la crescita di una classe media che ha dirottato i suoi appetiti sulle coppe europee. La borghesia del calcio italiano si è invece ritirata. Si è consegnata, accettando una perdita di competitività in cambio di una cooptazione nel circuito del benessere economico. Zico a Udine oggi non arriverebbe, eppure l’Udinese non ha mai avuto tanta confidenza col danaro come oggi.  Due terzi di serie A incassa i soldi dalle tv senza reinvestirli, si dedica alle plusvalenze e si lega alle alleanze giuste che garantiscano la perpetuazione del giochino».

In quest’ottica, la Juventus si è incardinata al centro del sistema perché «può amministrarlo senza rivali, nella crisi di Milano. Occupa quella che si chiamerebbe posizione dominante, esercitata con relazioni senza confronti; con 41 calciatori in prestito tra i professionisti che allargano l’influenza su agenti, procuratori e direttori sportivi; con uno stuolo di suoi ex campioni che parlano
all’opinione pubblica dai salotti tv».

Una cittadella assediata

Infine, il consiglio alla stessa Juventus: «Neanche ai bianconeri giova questa vita da cittadella assediata. Questo dover difendere ogni successo dal sospetto che un aiuto in un modo o nell’altro a un certo punto arrivi, dovendosi mostrare in pubblico sempre così dura, aggressiva, derisoria. I bianconeri non possono pensare di stravincere ed essere anche amati. Lo ha scritto Mario Sconcerti nel suo “Il calcio dei ricchi”: ‘quanto può appassionarsi la gente a uno spettacolo che costantemente non la riguarda? Se vincono sempre le stesse, se partecipano sempre le stesse, io che c’entro’. Lo sanno bene in Nba, dove si preoccupano di tutelare equilibrio e concorrenza».

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