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La Roma che vende Dzeko è l’emblema della crisi dei club italiani (tranne Juve, Napoli e Lazio)

Oltre al bosniaco, anche Emerson e Nainggolan potrebbero lasciare Roma. “Colpa” del Fair Play Finanziario, retaggio di gestioni avventate del passato. Come l’Inter, come il Milan. I club virtuosi, nel frattempo, comandano in classifica.

La Roma che vende Dzeko è l’emblema della crisi dei club italiani (tranne Juve, Napoli e Lazio)

Una questione semplice

Mentre la Roma prepara il delicatissimo recupero di campionato contro la Sampdoria, impazzano le voci di mercato intorno alla società giallorossa. Sembra incredibile che una squadra in piena lotta Champions, qualificata agli ottavi della massima competizione internazionale dopo un sensazionale primo posto nel girone, sia in fase di smobilitazione. O quasi. Eppure, le voci degli ultimi giorni, confermate da più parti, raccontano del doppio affare col Chelsea (Dzeko ed Emerson Palmieri in direzione Londra) e con il Guanzghou (che cerca Nainggolan).

Cosa sta succedendo a Roma? È molto semplice da spiegare. Il club di Pallotta ha un disperato bisogno di vendere calciatori. Per questioni di bilancio, in ottemperanza al fair play finanziario. E ha bisogno di farlo al più presto, per sistemare il bilancio con plusvalenze ad hoc che scongiurino nuovi provvedimenti dell’Uefa. A ottobre scorso, il bilancio giallorosso aveva ufficializzato lo sfondamento dei parametri imposti per il 2017. All’interno della nota pubblicata insieme ai conti, si era paventata la possibilità di cedere qualche big per sistemare la posizione finanziaria del club.

Ed ora la grande occasione: Dzeko che interessa al Chelsea, in combinazione con Emerson Palmieri. Due calciatori “sacrificabili”, data la presenza in organico di Schick e Kolarov. E quindi un’offerta irrinunciabile (un po’ scriteriata dal punto di vista tecnico, ma non è il luogo né il momento adatto per parlarne) da parte di Conte, alla ricerca di rinforzi per la sua squadra. Almeno 50-55 milioni per tutto il pacchetto, si dice che le trattative incrociate tra calciatori e dirigenze siano ai dettagli. E una plusvalenza di 50 milioni.

Come stanno i club italiani

È un momento strano, per la Roma. L’inizio di stagione era stato incoraggiante, poi è arrivata la flessione invernale. Ci sta, era nelle previsioni, del resto l’arrivo di Di Francesco poteva/doveva portare a un cambiamento netto rispetto all’era-Spalletti. Il problema è che la nuova gestione tecnica si è accavallata con un momento di politica societaria influenzata dal rapporto controverso con i bilanci. Anzi, con il Fair Play Finanziario. La Roma, esattamente come l’Inter, è finita nel mirino della commissione Uefa. Ed ha pagato, sta pagando gli errori di gestione commessi negli anni precedenti.

Il fatto che ora sia praticamente costretta a cedere due (se non tre) calciatori fondamentali per il suo gioco spiega la condizione precaria di una parte consistente della Serie A. Molti club hanno vissuto senza programmazione, alcuni (come l’Inter) stanno ancora facendo i conti con un passato recente pieno di operazioni azzardate, soprattutto sul mercato. A fine agosto 2016, i tifosi nerazzurri e di tutta Italia salutarono con applausi di approvazione i 70 milioni (fonte Transfermarkt) investiti per Joao Mario e Gabigol. Un esempio di scelta sbagliata, che poi si paga. L’Inter è ancora nel mirino dell’Uefa, ma il buon posizionamento nella Deloitte Football Money League 2018 e la politica di autofinanziamento imposta da Suning dimostrano che nel club nerazzurro sta tornando a regnare un certo ordine – in attesa del fondamentale ritorno in Champions.

Alla Roma, invece, non sono bastati gli addii di Paredes, Rudiger e Salah. Monchi è l’uomo ideale per smontare e rimontare l’organico di una squadra di calcio, ma l’ansia della necessità non è mai una buona consigliera.

Le eccezioni

Va da sé che Juventus, Napoli e Lazio sono le uniche società amministrate con criterio, ognuna all’interno del proprio range. Il club bianconero è una potenza industriale, inarrivabile dal punto di vista economico per tutte le altre piazze d’Italia. Eppure, è ancora lontanissima dai top club, per ricavi e potenza di fuoco (basti pensare al caso-Pogba, alla cessione forzata del francese nell’anno dell’arrivo di Higuain); il Napoli e la Lazio rappresentano invece una perfetta congiunzione astrale tra risultati sul campo e politica di autofinanziamento. La forza di questi due club sta tutta nel player trading, nella valorizzazione del parco calciatori, cresciuto a e per livelli diversi grazie alle intuizioni di grandi professionisti del mercato (Bigon, Tare, Benitez) e del campo (Sarri, Simone Inzaghi).

Il fatto che De Laurentiis e Lotito rappresentino l’osmosi perfetta tra il presidente “artigianale” di una volta e un modello sportivo moderno, evidentemente virtuoso, e siano così bersagliati dalle rispettive tifoserie, fa capire a che punto sia arrivata la percezione economico-sociale, persino culturale, del calcio in Italia. Che poi, in realtà, anche Suning e la Roma sono fortemente criticati dai sostenitori di Inter e Roma; persino Agnelli viene accusato di “non spendere” da un (piccolo, ma esistente) gruppo di juventini. Solo i cinesi del Milan hanno ricevuto approvazioni unanimi, è bastato un mercato imponente pur senza progettualità a orientare i primi giudizi. Al di là del gioco di parole, ora sono i casi giudiziari a tenere banco in casa rossonera. Con la squadra di Gattuso fu Montella fuori dall’Europa, con Napoli, Juventus e Lazio ai primi tre posti in classifica.

E con Dzeko, capocannoniere dell’ultimo campionato, che lascia la Roma a gennaio. Al Chelsea non potrà giocare in Champions, mentre i suoi ex compagni affronteranno lo Shakhtar. Da favoriti. Geniale, no?

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