A pochi giorni dal no di Simone Verdi al Napoli, il Bologna arriva al San Paolo. Il Déjà vu di Pablito dopo il no, con record di spettatori a Fuorigrotta, deve essere scongiurato.
Una partita difficile
Poche ore, e sarà di nuovo clima partita. Napoli-Bologna, già da più parti, è stata definita come il “Verdi Game”. E questo è un errore, perché si tratta di una partita importante, fondamentale, come tutte quelle che aspettano il Napoli da qui a fine stagione. Non servono significati ulteriori, anzi sarebbe sbagliato caricare la partita con un’emotività diversa da quella della classifica, dei tre punti che servono e serviranno per tenere la Juventus (impegnata a Verona, contro il Chievo) a distanza.
Certo, ora come ora il Bologna è Simone Verdi. C’è un’identificazione totale tra la club e la città e il calciatore, è uno dei pochi casi registrati dai sismografi per cui il mercato ha unito, piuttosto che dividere, squadra e tifoseria. È anche una questione tecnica: Verdi è il calciatore più forte a disposizione di Donadoni, il più impattante sul gioco e sui risultati. Contro il Benevento, poche ore dopo il no in mondovisione al Napoli, sono arrivati subito due assist decisivi su calcio piazzato.
Insomma, chiariamoci: Napoli-Bologna è già abbastanza Napoli-Verdi, aumentare ulteriormente questo peso narrativo non può che essere controproducente, per la squadra di Sarri. Il San Paolo, nella sua storia ma anche ultimamente, non ha un buon rapporto con chi ha fatto “lo sgarbo di mercato”. Si pensi a Higuain, giusto qualche tempo fa. Persino Cavani, andato via dopo un trasferimento più “normale”, fu fischiato da Fuorigrotta. E poi c’è il caso Paolo Rossi, che è storia e leggenda e pure indicazione e dichiarazione (preventiva e presupposta) di intenti.
Napoli-Perugia
Ecco, il rischio è di finire come il 1980. Rossi si presentò al San Paolo da “traditore”, aveva rifiutato Napoli (ne ha parlato ultimamente, nei giorni di Verdi). E Napoli rispose con un imbattuto record di presenze, e con i manichini appesi alle balaustre per insultare e subissare di fischi Pablito.
Ecco, appunto: lui era già Pablito. La differenza è tutta qui, anche con Higuain e Cavani. Simone Verdi deve restare Simone Verdi, cioè un calciatore che ha preferito rimanere nella realtà apicale della sua carriera (protagonista a Bologna) piuttosto che sperimentarsi a Napoli. Va accolto in questo modo, come un calciatore forse ancora non pronto a lottare per lo scudetto.
In realtà, lo sgarbo di Verdi è soprattutto verso sé stesso. O comunque verso una possibilità di crescita immediata. Il suo rifiuto è stato spiegato con termini confusi, non va giudicato, ma va pesato per quel che è. Non trasformiamo Verdi in un avversario da intimidire, perché ci fa paura. Ci sta lo sfogo iniziale, ma tutto deve esaurirsi lì.
E il motivo, se vogliamo, ce l’abbiamo a portata di mano. Si chiama Amin Younes, che (pare) debba arrivare a Napoli a ridosso del match col Bologna. Più giovane di Verdi, con 28 presenze nelle coppe europee (contro 0) e con 5 presenze nella nazionale campione del Mondo (Verdi si ferma a due partite in una selezione che non andrà ai prossimi Mondiali). Ecco, basterebbe questo: se Younes sarà al San Paolo, pensiamo ad applaudire lui e tutto il Napoli piuttosto che a fischiare Verdi. Abbiamo bisogno di questo, soprattutto.