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Beguinot e la sua Napoli sciupata

Addio all’urbanista napoletano che prima di ogni altro aveva capito il futuro con la sua idea di città interetnica e cablata. Ma che non ha mai realizzato il suo progetto

Beguinot e la sua Napoli sciupata

Il suo sogno non è mai diventato progetto

Napoli era per lui «la mia città sciupata». È rimasta com’era, anzi rischia il collasso definitivo. Corrado Beguinot aveva capito prima di tutti gli altri urbanisti del mondo come andavano “curate” le città per vincere la sfida con i tempi e la rivoluzione tecnologica – la sua città interetnica e profondamente cablata ha fatto il giro del mondo e ha raccolto a parole, ma non nei fatti, grandi consensi – ma non ce l’ha fatta a vincere la partita. Ha chiuso da sconfitto, ma, per la lucidità delle sue ricerche, il risultato poteva essere di gran lunga più lusinghiero perché aveva previsto tutto come un meteorologo che azzecca le previsioni anche in un golfo straordinariamente mutevole e dispettoso come il nostro, ma il suo sogno non è mai diventato progetto. È rimasto nel cassetto.

La sua ricerca non è mai espatriata

Democristiano e gavianeo di fede, Corrado Beguinot si è anche affidato alla politica per far “camminare le sue idee” – usò questa espressione colorita ma efficace in una intervista che il cronista raccolse all’alba del nuovo secolo -, ma dopo dieci lustri di intensissima produzione scientifica e 61 volumi che messi insieme rappresentano una summa del nuovo pensiero urbanistico, ha deposto le armi e si è chiuso in dignitoso silenzio accademico interrotto solo dalla morte.

Aveva compiuto 93 anni, gli sono rimasti accanto solo i suoi allievi: ne ha tirati su tantissimi e la loro fedeltà è stata abbondantemente ricompensata dal “maestro”. Che ha avuto anche un altro merito: la sua ricerca è partita da Napoli e non è mai espatriata nonostante le “sirene della ricerca” e degli interessi sottesi ai suoi processi arditi lo richiamassero verso lidi più ospitali. Non è un merito da poco e Beguinot lo ha conquistato sul campo.

Né visionario né predicatore inascoltato

Tiriamo le somme: visionario o inascoltato predicatore di una nuova scienza? A parere nostro, né l’una né l’altra etichetta valgono a definire compiutamente lo straordinario work in progress di Beguinot. Che va considerato, invece, uno dei massimi esperti europei di pianificazione territoriale per la sua straordinaria capacità di anticipare i grandi temi della crisi urbana. Sulla carta ha avuto ragione lui, nei fatti ha perso anche lui che essendo stato progettista di decine piani urbanistici, paesistici, comunali e chi più ne ha più ne metta, non sempre è stato esente da critiche. Un esempio: a Caserta il suo Piano regolatore fu travolto dall’accusa di aver favorito la speculazione edilizia perché aveva compreso, nella determinazione del verde urbano, anche quello dell’immenso Parco della Reggia vanvitelliana ieri come oggi al centro delle critiche.

La Carta di Megaride

A conti fatti, questa è la conclusione più calata nella realtà, Corrado Beguinot, per dirla con l’indimenticabile Carosio, ha fatto “quasi gol” nel senso che fa sfiorato la vittoria ma ha dovuto arrendersi “al palo galeotto” che gli ha negato la vittoria. Che pure in alcuni momenti è sembrata veramente a portata di mano. A partire dal 1985 quando diede vita al “Gruppo di innovazione tecnologica e territoriale” e, ancor più nel 1993 quando vide la luce la “Carta di Megaride” che il poderoso team dell’ingegnere napoletano redasse con la collaborazione di seicento studiosi in rappresentanza di trentadue paesi: una summa della città cablata e, soprattutto, l’alba di un nuovo modo di occupazione e utilizzo degli spazi urbani.

La città interetnica europea

Anche perché tra le proposte ce n’era una che puntava a fare piazza pulita delle vecchie e cattive abitudini: un master internazionale per la formazione di esperti che avrebbero dovuto collaborare con i governi per la redazione di piani urbanistici al di sopra di ogni sospetto. Sembrava fatta soprattutto perché sette anni dopo, in un altro documento, vennero definitivamente fissati i nuovi principi della città interetnica europea. È finita come è finita, ma è giusto dare a Beguinot quello che gli spetta: la tenacia discreta con la quale ha occupato un posto di primissima fila per trentacinque anni e tante “firme” apprezzabili come la nuova Facoltà di Medicina, il Palazzo di Giustizia e la cittadella postale. È poco, è molto? È quello che è.

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