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Davide Azzolini: «A Napoli la politica è ininfluente, solo l’unione tra chi produce crea sviluppo»

Intervista da Nyc al produttore di Naples ’44: «Napoli è anche la Ferrante e Gomorra, è una città sempre in bilico ma che non precipita mai»

Davide Azzolini: «A Napoli la politica è ininfluente, solo l’unione tra chi produce crea sviluppo»
La copertina di “Naples '44» i, documentario di Francesco Patierno, prodotto da Davide Azzolini, presentato al Film Forum di New York

Incontriamo Davide Azzolini alla Morgan Library, un gioiello architettonico progettato da Renzo Piano nel cuore di Midtown Manhattan. In qualità di produttore è a New York per l’uscita nelle sale americane di NAPLES ’44 di Francesco Patierno, narrato da Benedict Cumberbatch, tratto dal romanzo di Norman Lewis.

Come è stato accolto il docufilm di Patierno?

Direi molto bene. Tutto esaurito l’esordio in un cinema di prestigio come il Film Forum e richiesta di proiettarlo per tre settimane rispetto alle due previste: data la stagione cinematografica, siamo sotto Natale, è davvero un grosso successo. È in programmazione anche a Los Angeles e Washington e siamo entrati nella lista dei documentari in corsa per gli Oscar.

Quali elementi incuriosiscono i newyorkesi del lavoro di Patierno?

Sul piano storico non tutti sanno dei bombardamenti, delle violenze, della prostituzione, della fame che accompagnarono lo sbarco alleato. Tuttavia l’autore del libro Norman Lewis narra senza alcun pregiudizio o atteggiamento di superiorità il degrado civile e morale che si mostrò ai suoi occhi. Inoltre è un lavoro di estrema attualità, basti pensare ad Aleppo: entrare come fa NAPLES’ 44 nell’immaginario degli spettatori aiuta a comprendere gli orrori di quanto accade oggi.

Nel film viene fuori l’idea di un’occupazione militare alleata.

Di fatto è quello che fu. Tuttavia, abbastanza incredibilmente, non ha lasciato rancori, risentimenti. Se vogliamo, ha creato un rapporto simbiotico tra l’America e Napoli che vive e continua ancora oggi. La cultura americana, quella portata dalle truppe occupanti e quella odierna sono amate dai napoletani. E poi gli americani hanno sempre avuto un grande interesse culturale per Napoli. Pensiamo, ad esempio, al recente successo letterario di Elena Ferrante esploso prima oltreoceano.

Non solo la Ferrante: Saviano e la serie Gomorra, con le polemiche che ha generato.

Sono entrambi aspetti di una città sempre sull’orlo del baratro ma che non precipita mai, e perennemente sul punto di fare un triplo salto mortale che poi non fa mai. È la sua natura, una città difficile e splendida. Ma ne ha tante altre di narrazioni, mica solo queste due. E comunque Gomorra non è un libro di favole: non bisogna essere un ultrà di Saviano per riconoscere che i camorristi che racconta sono dei mostri. E questa terza stagione della serie mostra ancora di più quanto la camorra sia un cancro che si nutre in primis della disperazione delle persone in difficoltà. Se poi i ragazzini emulano questa gente, le responsabilità non possono certo essere di un libro o una serie…

E Napoli odierna?

Una città che vive un gran momento turistico soprattutto di weekender e questo principalmente grazie all’aeroporto di Capodichino: ormai si può arrivare a Napoli da tutta Europa e la città “se ne cade” di visitatori. Purtroppo poi però i servizi pubblici sono assolutamente inefficienti, per turisti e cittadini. Ma, come detto, nonostante tutto Napoli va avanti.

C’è speranza di ripresa?

Si, soprattutto negli under quaranta. C’è un grande fervore culturale, artistico ma anche imprenditoriale che si muove lontano dai circuiti politici. Mi ha molto colpito ad esempio che le nuove leve degli operatori del food abbiano iniziato a collaborare, a fare rete, sviluppando progetti comuni: impensabile che avvenisse tra le generazioni precedenti. Il vero sviluppo a Napoli può arrivare solo dall’unione di chi fa le cose. Confido molto nelle nuove generazioni. La politica non è la soluzione, non lo è più, ha perso la sua partita da tempo. Non ci sono nemmeno più le risorse per l’assistenzialismo. Per fortuna, direi.

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