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L’Italia di Ventura è il fallimento del non gioco

Il modello Juventus che non è più neanche della Juventus, un ct inadeguato e non sintonizzato sulle indicazioni dell’Italia calcistica. E il senso di una ripartenza.

L’Italia di Ventura è il fallimento del non gioco
Ventura, commissario tecnico dell'Italia

Semplicità

Sono quello del guardiolismo, ma ovviamente bisogna andare oltre certe preferenze “di genere”. Bisogna calarsi nei contesti, ieri sera non era una partita cui cercare di imprimere una storia diversa. Ieri sera, sì, ci voleva la garra, ci voleva la grinta, l’attaccamento, la rabbia, il gioco maschio e tutte queste prosopopee che ci piacciono tanto. E che d’ora in poi raduneremo sotto il concetto di “epicità”. Italia-Svezia doveva essere “epicità”. Per la vittoria, quella doveva essere la strada.

Sì, ma perché? Perché l’Italia deve arrivare a sperare nella sua tradizionale epicità per poter vincere una partita di calcio? Perché il successo in uno sport di squadra deve avvenire secondo un percorso prestabilito, e che comunque potrebbe rivelarsi incidentale? O meglio, per dirla brevemente: perché una nazionale di calcio non può partire dal concetto che si deve giocare a calcio (magari anche in modo proattivo, propositivo, che non vuol dire necessariamente “offensivo”)?.

Ovviamente, io parlo (e scrivo) di campo. E ieri sera, in campo, si è vista la naturale e ovvia conseguenza di una gestione tecnica improntata al non gioco. O meglio: che ha virato sul non gioco dopo aver inizialmente proposto un calcio vecchio, anacronistico, e assolutamente non coerente con le caratteristiche e le qualità dei giocatori a disposizione.

La storia (e la Juventus)

Massimiliano Gallo ha spiegato che le scelte del Commissario Tecnico della nazionale italiana sono legate alla tradizione. Nel senso: anche chi ha proposto un calcio basato sulle idee più che sulla selezione dei calciatori (Sacchi, ad esempio), ha finito per scontrarsi con la dura realtà. Ovvero: la Nazionale non gioca bene, quasi mai. Quindi, quella di Ventura non ha fatto eccezioni.

Alla fine sono d’accordo. È così, effettivamente. Solo che non riesco a capacitarmi della convinzione (peraltro abbastanza diffusa in Italia) che debba essere così, perché noi siamo così. Era questo il senso del mio pezzo sul guardiolismo. Ed era un pezzo riferito non solo alla nazionale, ma anche al modello di pensiero portato avanti, imposto dalla Juventus. La narrazione della storia, della forza difensiva, della solidità, della grinta, che in qualche modo ammanta il mondo bianconero. E che salta fuori ogni tanto, si pensi alle parole di Chiellini sul guardiolismo oppure a quelle di Dybala l’anno scorso su Dani Alves («Dani ha portato la mentalità perfetta. Meglio fare un metro in avanti che cinquanta indietro, anche perché abbiamo una difesa che può permettersi l’uno contro uno. La Juve arriva con una mentalità che c’è da tanto tempo e a volte è difficile cambiare. Io credo che se difendi a 70 metri dalla porta hai meno possibilità di prendere gol e più di farne. Lo dice Guardiola, ma anche Allegri»).

La Gazzetta

Ecco, Allegri. Sta provando a cambiare le cose, a Torino. A far vedere qualcosa di nuovo. Bonucci via, non è un caso. Spesso viene attaccato, io non lo considero un allenatore di idee (come Guardiola, oppure in piccolo Di Francesco, Sarri o Spalletti), quindi non incontra del tutto il mio gusto. Ma di certo non è uno stupido. L’ho capito una volta di più leggendo la Gazzetta dello Sport di oggi. Che ha parlato della scelta di Ventura, della difesa a tre schierata ieri partendo proprio dal discorso sulla Juventus:

Allegri passò dal 3-­5-­2 al 4-2-­3-­1 un po’ perché la squadra aveva bisogno di nuovi stimoli e un po’ perché la manovra era diventata troppo prevedibile. La Juve fraseggiava da dietro lentamente e quando verticalizzava gli attaccanti partivano da fermi contro una difesa schierata. Insomma, gli sbocchi erano legati alle iniziative individuali. Quello che è successo ieri sera. La differenza è che nell’Italia non ci sono Dybala e Higuain. Quando Allegri abbandonò il 3­-5-­2 la Juve era comunque in testa al campionato. Ieri sera, invece, l’Italia partiva da 0­-1. Eppure Ventura ha scelto di impantanarsi

Ovviamente, non è solo una questione di moduli. Quelli sono solo numeri. Anche perché la Juventus, con il nuovo assetto, non è diventata molto più veloce. Ma il passaggio è stato un primo passo, ha rappresentato (sta rappresentando) un inizio. E poi c’è talento offensivo in abbondanza, in casa bianconera. E quindi c’è una forza decisamente maggiore rispetto alla concorrenza interna. Chi è molto più forte vince, anche se non ha la miglior espressione di gioco. Se non sei molto più forte degli avversari, allora la cosa cambia. Bisogna alzare il tiro. Ci vogliono le idee.

Ventura

Il mio concetto è questo, ed è semplice. L’Italia, intesa come squadra di calcio e quindi organico, non ha gli stessi rapporti di forza che ha la Juve con i suoi avversari. È nettamente più forte della Svezia, ma non abbastanza da imporsi anche senza una chiara idea di calcio. Oppure attraverso concetti vecchi, che passano dagli sviluppi di gioco (schemi preordinati come quelli di Ventura: lanci lunghi, combinazioni tra gli attaccanti ecc.) piuttosto che dai principi di gioco (come ad esempio possono esere il pressing sistematico per le transizioni, oppure la difesa alta, oppure il possesso di palla).

Quando Ventura si è reso conto che il suo calcio non era adatto per affrontare certi avversari certe partite (diciamo pure dopo la Spagna), allora ha abbracciato il non gioco. “Consigliato” o “spinto” dal blocco-Juventus, interprete di un gioco fondamentalmente speculativo. Che è un non gioco, appunto. E funziona, ripetiamo (vedi sopra), quando è possibile speculare su qualcosa. Su una qualità più alta, su una forza fisica o tecnica maggiore. Su una superiorità che è solo tua, chiara ed acclarata.

La Juve ha vinto, in campo nazionale. Quindi lode alla Juve. Ma l’Italia non ha questa superiorità. A mio modo di vedere, e parlo solo e puramente di campo, Ventura si è ritrovato delegittimato nelle sue idee dopo un anno di figure non brillanti e dopo la debacle al Bernabeu – anche giustamente. Poi, però, ha commesso un altro errore: non fare come Allegri, non (provare a) imporre un gioco diverso, magari adatto agli altri. A Verratti, a Insigne, a Florenzi, a El Shaarawy. A Jorginho, ieri uno dei migliori – eppure totalmente fuori contesto. Ha scelto il non gioco. E ha perso. Contro la Svezia, per ironia della sorte una squadra adatta a questo tipo di configurazione.

Spagna e Germania

Ecco, torniamo al punto iniziale. Deve essere così perché noi siamo così. E chi l’ha detto? Chi l’ha deciso? La storia non va in campo, non può andarci se non nella carriera dei calciatori. Che conta poco, anzi nulla, in una partita nuova. Contano forza, qualità, esperienza e determinazione. Certo, anche esperienza e determinazione. Perché è possibile che ora ai Mondiali ci saremmo noi, se l’Italia avesse giocato col furore di ieri pure a Solna.

Però, io mi chiedo questo: e se alla determinazione aggiungessimo idee e concetti? E se alla determinazione aggiungessimo idee e concetti coerenti con la qualità dei calciatori a disposizione? E se provassimo a fare come la Germania o la Spagna, che hanno vinto tutto quello che c’era da vincere (a livello di nazionali, ma non solo) dimostrando come la vittoria possa essere raggiunta anche attraverso un calcio di idee e di concetti? Qualcuno, giustamente, potrà rispondere: sì, ma i nostri calciatori non sono quelli di Germania e Spagna. Vero. Ma è vero pure che laddove manca la qualità assoluta, com’è più probabile metterci una pezza? Con un’organizzazione di gioco concettualmente coerente, oppure attraverso la sola e pura determinazione?

Ripartire

Ecco, magari ripartire da qui. Ripartire dalla Juventus, proprio dalla Juventus. Che dimostra come un cambiamento è possibile. È un punto dietro al Napoli, mentre sta cercando e provando un nuovo modo di giocare lontano dalla tradizione. Già il solo fatto di aver abbandonato uno schieramento a tre difensori è una prova tangibile della tentata rivoluzione. Non voglio dire “ripartiamo dal Napoli o dal suo modello (di gioco)” scrivendolo sul Napolista. Sarebbe troppo facile.

Ripartiamo da un Ct che non deve essere “offensivo” o “guardiolista”, ma che almeno abbia un’idea di gioco sintonizzata sul campionato italiano – molto più vicino di quello che si crede al calcio internazionale. Che applichi concetti, non lavori sul semplice ed eventuale sviluppo di una situazione di gioco. E che abbia la coscienza che il mondo, per provare a vincere, mette in ordine le cose che servono: le idee e la qualità dei calciatori, poi l’epicità. Con l’epicità si vincevano i Mondiali, noi sappiamo come si fa. Bastava, anche senza il gioco. Ora c’è un’altra strada, l’hanno tracciata gli altri. Mentre noi siamo rimasti indietro, per l’inadeguatezza di Ventura e per un calcio autoreferenziale, basato su uomini e modelli e sistemi che non fanno più tendenza. Neanche in Italia, tra l’altro.

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