ilNapolista

L’Italia, il calcio e le parole di Chiellini su Guardiola e sui difensori

«Il guardiolismo ha rovinato una generazione di difensori, Oggi tutti vogliono impostare, ma nessuno sa più marcare». Una difesa dello status quo?

L’Italia, il calcio e le parole di Chiellini su Guardiola e sui difensori

Un invito a leggere Juventibus

Abbiamo scritto poco fa, della Nazionale di Ventura come specchio dell’Italia – non solo calcistica. Abbiamo riservato qualche riga a Giorgione Chiellini, che ieri si è prodotto in un’analisi storico-tattica-sociologica del ruolo del difensore. Ecco il passo dedicato al numero tre della Juventus:

Ci si è messo anche Chiellini, ieri. «Il guardiolismo ha rovinato una generazione di difensori, Oggi tutti vogliono impostare, ma nessuno sa più marcare. Ed è un peccato, perché certe caratteristiche hanno permesso al nostro calcio di eccellere ovunque». Non che il buon Giorgio non abbia ragione, è tutto vero quello che dice. Però il gioco e il mondo si evolvono, vanno avanti, cambiano. Serve altro.

Ecco, ci autocitiamo e cerchiamo di sviluppare il nostro pensiero. E, per farlo, ci leghiamo anche a quanto pubblicato (pochi minuti fa) dal sito Juventibus, che ha dedicato un articolo a questo piccolo grande caso. L’autore del testo, Davide Rovati, scrive: «Il concetto di fondo, cioè che i marcatori puri sono sempre più rari, è un dato di fatto inconfutabile, anche se la spiegazione fa tanto Nonno Simpson che grida alle nuvole. Chiellini prende un normale elemento dell’evoluzione del gioco del calcio, cioè la tendenza dalla specializzazione all’universalità, l’enfasi sempre più marcata sul collettivo, e lo correla con la sparizione dei marcatori a uomo in Italia, inventando un nesso causa-effetto che non esiste».

Nonno Simpson che grida alle nuvole

Ecco, secondo noi la frase chiave è l’ultima: un nesso causa-effetto che non esiste. Sì, perché basta tornare con la mente al guardiolismo stesso per capire che Chiellini sta forzando di molto la chiave retorica. Puyol-Piqué, poi Mascherano a Barcellona; Javi Martinez e Alaba a Monaco, con il giovane Kimmich. Oggi ci sono Stones e Otamendi. Sono i difensori di Guardiola, e sono buoni se non ottimi difensori. Sono difensori che costruiscono il gioco, oppure costruttori di gioco adattati in difesa. L’equilibrio è sottile, ma si basa sull’equilibrio difensivo. E sull’adattamento delle teorie di gioco di Pep rispetto all’organico a disposizione. C’è anche questo, nel pezzo di Juventibus. In cui “attacca” Chiellini con la domanda retorica su «qual è il dna della Juventus?».

Ecco, è la traduzione del nostro pensiero. Il dna del calcio italiano non è stato altro che un adattamento alle contingenze tecniche e tattiche rispetto alle altre espressioni calcistiche. Ed è stato realmente vincente solo quando c’è stata un’alta cifra di talento cui aggrapparsi. Perché i risultati vanno “fatti”, per essere “difesi”. Il calcio vive di gol non subiti, ma anche di gol fatti. È un gioco sottile.

Quindi, la contestazione a Chiellini è semplice. Diventa semplice perché tutta la storia del pallone è fatta di adattamenti, modifiche, tentativi ed eventuali ritorni indietro. Sbandierare un’identità o un dna considerandoli assiomatici, e far discendere da quest’assioma il rifiuto di una dinamica generazionale, o comunque universale, è sintomo di un’altra difesa. Quella del proprio status quo, in bianconero come in nazionale. E se per la Juventus può avere senso – perché la Juventus vince, non certo perché rappresenti un benchmark tattico come Guardiola -, per la Nazionale un senso non ce l’ha. Perché questa Nazionale non vince. O non ha ancora vinto. L’ultima volta ha vinto quando aveva alcuni tra i migliori difensori, e alcuni tra i migliori giocatori. Cannavaro, Zambrotta, Nesta, Materazzi. Ma anche Totti, Toni, Del Piero, Pirlo. Una squadra forte, prima che una difesa forte. È un equilibrio sottile.

ilnapolista © riproduzione riservata