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È un atto di fede credere nello scudetto del Napoli

Non chiamiamo banalmente scemo chi a questa fede, laica libertaria antigerarchica e tonda come un pallone, affida le proprie sofferenze

È un atto di fede credere nello scudetto del Napoli
Silvio Orlando è il cardinale Voiello in “The young pope”

All’Università di Macerata

All’Università di Macerata, qualche giorno fa, la professoressa di glottologia chiede agli studenti di alzarsi in piedi per recitare un’Ave Maria. Se lo faccia per sincronizzare l’orazione con quelle avvenute nel mondo per celebrare il centenario delle apparizioni a Fatima o per raccogliere un appello del Papa, non ha importanza. “Ho invitato gli studenti ad alzarsi in piedi, anche i non credenti, per rispetto di chi crede”. Tutti in piedi all’Università.

L’abito fa il monaco

È una fede, quella della docente. Ed ogni fede è una ferita, un timore, ogni fede procede da una paura umana, da una risposta attesa e non ottenuta. In quanto tale, dunque, la fede certifica la nostra natura di esseri alla mercè di quanto accade. Il problema, semmai, è che c’è chi decide di indossare un abito – che alla fine il monaco lo fa – e, con un ribaltamento improvviso e fallace, stabilisce che la fede sia forza e non certo debolezza e che tra le fedi esista una ferrea ed universale gerarchia. Cosa sarebbe accaduto, ad esempio, se invece che chiedere un Gloria Patri, la docente avesse intonato ‘O surdato ‘nnammurato per propiziare la vittoria del Napoli, chiedendo a tutti – per rispetto della propria fede – di alzarsi in piedi, juventini o interisti che fossero? Avrebbero chiamato la neuro. Strana la vita.

Non chiamiamo scemo chi affida alla fede le proprie sofferenze

È fede anche il Ciuccio, ed è un atto di fede quello di credere nello scudetto quest’anno. Noi non ci nascondiamo, da luglio – fede che deriva dal desiderio di non perpetuare il nostro stato di sofferenza, di illuderci di vincere le avversità dell’esistenza, di immaginare un riscatto pubblico e privato. Che già sappiamo non esistere, visto che la vittoria si manifestò, come a Fatima, alcuni decenni or sono, e nulla di quanto noi fantasticammo mutò il proprio corso. Proprio come per ogni fede.

Crediamo, allora, fratelli. Come nelle lettere dei padri della chiesa. Non rinneghiamo il lato enigmatico di quanto vogliamo con ogni forza, ma col disincanto del sud. Non chiamiamo banalmente scemo chi a questa fede, laica libertaria antigerarchica e tonda come un pallone, affida le proprie sofferenze.

DeLillo in Rumore Bianco

Possiamo dire, con le parole della suora che DeLillo lascia parlare nel suo Rumore Bianco: “È la nostra finzione a essere una devozione. Qualcuno deve dare l’impressione di credere. La nostra vita non è meno seria che se professassimo una fede autentica, un vero credere. A mano a mano che la fede diminuisce in questo mondo, la gente trova sempre piú necessario che ci sia qualcuno che crede. Uomini dallo sguardo folle rintanati in grotte. Suore in nero. Monaci che non parlano. Restiamo noi, a credere. Scemi, bambini. Quelli che hanno smesso di credere devono continuare a credere in noi. Devono sempre esserci dei credenti. Gli scemi, gli idioti, quelli che sentono voci, quelli che parlano in lingue incomprensibili. Siamo i vostri mattoidi. Cediamo la nostra vita per rendere possibile la vostra mancanza di fede. Voi siete sicuri di essere nel giusto, tuttavia non volete che la pensino tutti come voi. Non c’è verità senza gli scemi.”

Noi siamo i vostri scemi. Ma rimaniamo lontani dalle aule universitarie. Perché non siamo fessi.

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