Un modo per raccontare Napoli-Cagliari: due difensori, in azzurro durante gli anni bui, hanno fatto la storia dei rossoblù
“Albertosi, Martiradonna, Pusceddu, Cera, Villa, Nainggolan, Nenè, Conti, Francescoli, Zola, Riva, allenatore Scopigno”, non male come formazione. E’ quella stilata dal sito “Cagliari calcio” grazie ai voti dei suoi utenti, è la squadra dei sogni che i tifosi rossoblu credono possa sempre lottare, da qui in avanti, per lo scudetto in terra, in cielo ed ogni luogo. Passando per ogni confine spazio-temporale. Volati già in Paradiso Martiradonna, Nenè e Scopigno, i nove/undicesimi di questa squadra possono ancora parlare di calcio, rinverdire i fasti del passato ed addirittura uno, il belga Nainggolan, corre ancora per le verdi praterie terrene.
Caso curioso, in questa Top 11 del Cagliari ci sono tre giocatori che hanno legato anche la loro carriera al Napoli. Di Zola non vi diremo, troppo nota la favola del piccolo “tamburino sardo” per essere raccontata ancora una volta ma dell’esemplare professionalità di Villa (da non confondersi col “mitico Villa” del Bologna) e del flop di Pusceddu siamo pronti a narrare.
Matteo Villa l’ha spuntata, anche se di poco, addirittura sull’icona Niccolai, premiato forse per la lunghissima permanenza da capitano sull’isola, un leader assoluto, silenzioso, rimasto nel cuore dei tifosi per qualità tecniche ed umane. Plebiscito, invece, per Vittorio Pusceddu, terzino di Buggerru, un mancino che aveva dalla sua i gol che assicurava in ogni campionato col suo tiro potentissimo. Per mera curiosità diremo che Zola, l’altro ex napoletano in classifica, vince la palma di miglior “10” della storia cagliaritana con l’80% dei voti davanti a O’Neill.
Gli anni bui
Le storie di Villa e Pusceddu si intrecciano, a distanza di dieci anni, sotto il Vesuvio. Entrambi ex Cagliari, passarono sulle rive del nostro Golfo con alterne fortune. Il primo giocò a Napoli per due anni all’inizio del nuovo millennio e fece la sua parte con grande bravura fino a quando un grave infortunio non ne frenò la tempra e la baldanza di ottimo terzino (se la cavava sia a destra che a sinistra anche se indossava la maglia numero 3 ), contraddistintosi per l’estrema professionalità in una squadra che sfiorò la Serie A con De Canio.
Pusceddu al Napoli
Il secondo, dopo due ottimi campionati a Verona e prima di passare a fare il fenomeno a Cagliari dove giocò fino alla semifinale in Coppa Uefa, ebbe a Napoli l’unico ‘buco nero’ della sua carriera. Dopo un anno solo, il 1991-92, e 21 presenze, Pusceddu fu inesorabilmente bocciato sebbene la squadra terminasse al quarto posto e conquistasse l’accesso alla Europa che conta. Davanti, comunque, aveva ancora un signor giocatore come Francini che vecchio non era. Spesso, poi, subentrò dalla panchina e in alcuni casi Ranieri lo impiegò con un atipico “7” da ala sulle spalle.
L’anno del nubifragio
Villa fu protagonista nel 2001-02, nell’anno in cui il Napoli giocò per ben cinque mesi lontano dal San Paolo, un’annata maledetta. Fu bravo mister De Canio a mettere insieme i cocci di chi era appena retrocesso dalla serie A e non voleva fare la B, Vidigal e Jankulovski in primis, di chi era in cerca di riscatto (tutta la difesa era nuova di zecca con Luppi, Bonomi e Villa), di chi rappresentava la vecchia guardia, Magoni, Stellone e Mancini in porta, di chi era quasi alla fine della carriera (Rastelli aveva già 33 anni), di chi voleva affermarsi, i giovani Montezine, Graffiedi, Floro Flores e Alessi.
Dopo il catastrofico nubifragio di settembre che rese inagibile il San Paolo, il Napoli giocò una gara a Cava dei Tirreni, proprio contro il Cagliari, e sette a Benevento. Villa, che non disdegnava le proiezioni offensive, fece due gol, entrambi in casa, con la Salernitana e con la Pistoiese.
Villa e Floro Flores
Il post-Maradona
Pusceddu è un nome legato, con tutti gli altri arrivati nell’estate del 1991, al Napoli del dopo Maradona, del nuovo corso inaugurato con l’ingaggio di Ranieri come allenatore. Moggi va via, c’è Perinetti a fare da Direttore Sportivo. Il dirigente romano, di comune accordo con Ferlaino, va ad operare con acquisti mirati che si riveleranno ottimi per il quarto posto finale. Padovano in attacco farà la sua parte, l’acerbo Tarantino acquisterà sempre più fiducia, l’ottimo Blanc comanderà la difesa e darà il suo contributo anche Stefano De Agostini a centrocampo. L’unico dei nuovi acquisti che sarà bocciato da stampa e tifosi è proprio lui, Pusceddu.
Cosa sia accaduto a Napoli a questo giocatore, che negli anni a venire sarà perfino irriverentemente paragonato a Roberto Carlos e che aveva già mostrato ottime doti in fase di spinta e palleggio, non ci è dato di sapere. I voti di fine stagione sono impietosi ed il “5” è quello più ricorrente. Eppure fu voluto, strapagato 4 miliardi e mezzo di vecchie lire, ma il suo rendimento lasciò a desiderare. Quando il Napoli lo diede al Cagliari nell’affare che portò Daniel Fonseca in azzurro, il giovanotto, sentendo l’aria di casa, si rigenerò e iniziò a fare sfracelli sulla fascia sinistra. Fu allora che i tifosi napoletani strabuzzarono gli occhi e si chiesero : “Ma questo è il calciatore che ha giocato qui?”.
Probabilmente il segreto di questo mistero buffo sta nel mezzo, come spesso avviene nel calcio. Quel Cagliari era uno squadrone con Ielpo in porta, Napoli, Festa, Firicano e Bisoli in difesa, Herrera, Mattioli e Cappioli a centrocampo e Oliveira e Francescoli di punta. In mezzo a questi campioni anche lui, Vittorio Puscedu, diede il massimo, plasmato da un signor allenatore come Carletto Mazzone che sapeva tirare fuori oro dalle rape.
La loro storia azzurra
Villa, lombardo di Vimercate, dopo 10 stagioni nel Cagliari, di cui è stato anche capitano, cresciuto nelle giovanili del Milan, era uno dei leader silenziosi dello spogliatoio del Napoli e colpiva per il suo aplomb e la sua calma, anche nelle pacate interviste che concedeva. Bene il primo anno nel Napoli con 26 presenze e due reti, meno il secondo dove riuscì a mettere insieme solo 4 presenze per un serio infortunio, lesione al legamento crociato anteriore destro, che lo fece uscire in barella nella gara di settembre contro la Sampdoria. Fu quella la sua quarta ed ultima presenza nel Napoli, dopo quel grave incidente non si riprese più. A fine anno andò al Genoa dove giocò alla grande e fece l’intero campionato. Chiuse col calcio nella Pro Sesto in C2 avvicinandosi a casa prima di iniziare la carriera da allenatore con la Buraghese ed il Mapellobonate.
Matteo Villa al Napoli
Pusceddu deve la sua esplosione ad Osvaldo Bagnoli che a Verona, nel torneo 1989-90, lo carica a pallettoni e Vittorio diventa uno degli sfortunati protagonisti della vana rincorsa verso la salvezza del club scaligero. Il suo splendido finale di campionato richiama i grandi club ed in particolare il Milan ed il Napoli. Alla fine la spunta Ferlaino mettendo sul piatto un bel gruzzolo di miliardi. Pusceddu fu, come detto, la delusione più grande della stagione e lascerà Napoli senza particolari rimpianti.
Eppure i dirigenti partenopei l’avevano inseguito per due anni, l’avevano cercato anche nell’ultimo anno di Maradona, perchè di mancini come lui non ce n’erano poi molti in giro. Il problema è che in una grande squadra lui non ci aveva mai giocato, forse non era quella la sua giusta dimensione. Sarà stato il San Paolo, la città o le pressioni ma il sardo non rese secondo le aspettative. Dopo il fortunato ritorno in Sardegna anche la Fiorentina ed il Torino si innamorarono di lui dandogli delle chance. Chiuse la carriera in granata e qualche anno più tardi, dopo un’esperienza da tecnico col Tavolara in serie D, diventò allenatore della Primavera del Cagliari in sostituzione di Diego Lopez passato alla prima squadra.
Il precedente
I due atleti si incrociarono stranamente proprio in una bella vittoria degli azzurri sui rossoblu isolani. Era il 8 dicembre del 1991 e Careca con una doppietta, Francini e poi Padovano su rigore, sancirono una squillante e rotonda vittoria del Napoli per 4 a 0. Pusceddu subentrò a Careca negli ultimi minuti, a risultato già acquisito, e Villa entrò al posto di Festa sul 3 a 0 al 73′ minuto. Evidentemente era destino che, sebbene per motivi diversi, in quello stadio dovevano giocarci solo per poco.