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Berardi e il no alla Juve: «Quanto avrei giocato?». E parla di Mertens e del falso nueve

Berardi, ovvero essere un calciatore diverso cosciente di sé: «Tifo per l’Inter, il minutaggio di Zaza ha influenzato la mia scelta sulla Juve».

Berardi e il no alla Juve: «Quanto avrei giocato?». E parla di Mertens e del falso nueve

Coscienza di se

L’intervista (per punti) di Domenico Berardi pubblicata oggi dalla Gazzetta dello Sport è una descrizione di un calciatore “altro”. Che si descrive proprio così, diverso. È cosciente dei suoi difetti, di quello che ha fatto e dei no che ha detto. «Sì, ho rifiutato tante cose: nel calcio, la prima volta mi opposi al signor Calabretta, osservatore: avevo 12 anni, voleva per forza portarmi alla Juve, ma avevo troppa paura di lasciare la mia terra. Il secondo a 14 anni: un poliziotto calabrese che viveva a Ferrara organizza un provino, la Spal mi dice “Preso, avvisa i tuoi” e io: “Non avviso nessuno: torno a casa”. A pelle, avevo una sensazione che non mi piaceva. Il terzo, il clamoroso no all’Under 19, fu la mia cavolata più grande, ma il Sassuolo era appena stato promosso in A, volevo festeggiare il più possibile. Invece il presunto no alla Nazionale, quando lasciai Coverciano nel 2015, non lo era: avevo un problema muscolare, i medici azzurri mi dissero “Sei indisponibile, puoi tornare a Sassuolo”. Non ho mai capito perché Conte ci rimase male».

Essere un calciatore diverso, oggi

E poi c’è il no più esplicativo di Domenico Berardi. Quello, pure recente, alla Juventus. Il secondo, se leggi l’intervista. «in realtà per come lo dissi io non fu un no: era un sì al Sassuolo, il sì che a loro fra l’altro non avevo mai detto. Eravamo appena andati in Europa League: volevo giocarla con i compagni con cui me l’ero presa, volevo crescere un altro anno. Eppoi sì, è vero: a me piace tanto giocare e poco fare quello che mi dicono di fare. La Juve non mi ha costretto a far nulla, ma spingeva molto perché andassi: per me era una specie di imposizione. E quanto avrei giocato? Mi avrebbe fatto bene tanta panchina, così giovane? Confesso, l’esempio di Zaza un po’ ha pesato: ho contato i minuti che Simone aveva giocato lì, e ho tirato il freno».

Non capita spesso, di leggere ammissioni del genere. Queste parole hanno suscitato un po’ di polemichette sui social, giusto per il termine “imposizione”. Che è un po’ forzato, vista anche la frase precedente, ma comunque è l’espressione di un carattere ribelle. Alla carriera prestabilita, sicuramente. Un rifiuto così posto, per rimanere «a Sassuolo per crescere», potrebbe essere un esempio per tanti giovani calciatori. È la ricerca di un percorso. Proprio il caso-Zaza è esemplare: il gol scudetto contro il Napoli, certo, ma anche un totale di 958 minuti in una stagione. Poi il West Ham, una pessima esperienza. Oggi il Valencia, 6 gol in 18 partite.

Un anno e mezzo per trovare una dimensione, economicamente importante ma sportivamente non certo di primo piano. Il discorso è questo: e se esistesse un altro tipo di carriera? E se il posto da titolare fosse ancora più importante di una vetrina da comprimario e un lauto aumento di stipendio?

L’Inter, il fuoco dentro e Mertens

Probabilmente, una buona parte delle polemiche nasce anche dall’ammissione di Berardi in merito alla sua fede nerazzurra. Interista, fin dalla nascita. La squadra che potrebbe rappresentare il suo futuro: «Sono nato con il cuore nerazzurro. Certe cose i genitori le passano ai figli e vinse la fede di papà Luigi e di mio fratello Francesco. Ora so che mi seguono, io ho dichiarato di essere tifoso in tempi non sospetti. Prima che si iniziasse a parlare di mercato». Un top club, dopo. Magari quello del cuore. La ricerca del percorso, come scritto sopra. Ma anche un po’ di paraculaggine, che non è un crimine.

Nella coscienza di sé rientra anche un’altra risposta di Berardi, quella sulla nazionale. Chiarito il discorso su Conte, almeno dal suo punto di vista, ecco la previsione del suo futuro azzurro. E un’ammissione di responsabilità: «Tre anni fa erano più che altro chiacchiere e comunque da allora ci sono stati allenatori che hanno fatto delle scelte: vuol dire che devo lavorare ancora, magari che potevo dare di più, che non ho avuto abbastanza fuoco dentro. In questa storia ci sono due certezze, diciamo una e mezza. La mezza: senza l’infortunio di agosto, forse avrei già debuttato. La certezza: dopo l’Europeo Under 21, la Nazionale diventerà un obiettivo ancora più forte. Tre anni fa forse era presto, ora non più».

Infine, il ruolo. Mertens, ormai, rappresenta il benchmark per tutti gli “esterni offensivo col vizio del gol”. Tutti potrebbero fare come lui. Anche Berardi lo dice di se stesso: «Poi sono diventato amico della fascia e sinceramente a fare il “falso 9” non ho mai pensato, ma non si sa mai. In fondo, cos’è? Una punta non prima punta, quella che non sono mai stato, che là davanti va dappertutto: potrei farlo».

 

 

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