Il traditore. Giustamente Repubblica affida la questione a un antropologo. Tristi decumani. Napoli non cambia mai schema, come i suoi allenatori.
Ma veramente ha detto che si augura di segnare due gol al Napoli? Ma come, il padre ha dichiarato che Higuain è felice di stare alla Juventus?
Non si parla d’altro, non si scrive d’altro. Giustamente oggi Repubblica affida all’antropologo Marino Niola il compito di incorniciare il rapporto tra Gonzalo e Napoli. Un antropologo. Tristi decumani. Una comunità ribolle e non si dà pace per il tradimento. Perché lo scorso anno Higuain cantava sotto la curva la canzoncina dei Righeira (uno dei due è juventino) e intonava la frase “difendo la ciudad”.
Non immaginavamo, noi napoletani, che in realtà Gonzalo non aveva in animo di difendere la ciudad ma desiderava affrancarsi dall’etichetta di perdente, guadagnare un bel po’ di soldi (che non guastano mai, anche se li avrebbe guadagnati pure a Napoli) ed era pronto a indossare anche la 9 bianconera.
Come quegli innamorati che incontrano l’ex (maschio o femmina che sia) e lo/la ritrovano con tre figli, immerso/a nella sua vita e si appigliano a un sopracciglio più alto di sei millimetri per dire: “si vede che c’è ancora qualcosa”. Sì, Gonzalo ha dichiarato che vuole segnare due gol ma si capisce che non li vorrebbe segnare. Sì, hanno scritto che Reina, Callejon, Ghoulam sono andati a cena con lui ma è ovvio che non è vero. Manco la mano gli stringeranno. Se – come il Napolista ha fatto – qualcuno fa notare che le dichiarazioni del procuratore di Koulibaly sono fuori luogo, si rimedia la figura del perbenista.
Nessuno fa notare che in fondo Gonzalo non aveva altra possibilità che cantare sotto la curva. Così come Reina e altri si adeguano al corso d’acqua e decantano le lodi di questa città meravigliosa, la più bella, la sola, unica, irripetibile. Chi si discosta da questo filone, non è realmente napoletano. Così come chi cerca di dire che il Napoli ha un progetto ed è forte a prescindere da Higuain è un servo del padrone. Perché è sorreggendo il Napoli che possiamo prenderci la rivincita su Higuain. Battendolo. Ma sembra un dettaglio irrilevante. In fondo nemmeno Napoli cambia mai modulo tattico, proprio come il presunto integralismo dei nostri allenatori.
Diciamolo, noi lo diciamo sempre ed è per questo che non siamo amati – a Napoli è in atto da tempo un fenomeno di risacca. Troisi, Daniele, gli anni Settanta e Ottanta furono caratterizzati da un’apertura, da una rottura con l’oleografia asfissiante. Oggi l’oleografia è spasmodicamente ricercata, la diversità napoletana è ostentata e guai a chi non si adegua. Non è un vero napoletano. Forse non ci avete fatto caso ma nessun giornale ha avuto l’ardire di riprendere le dichiarazioni di Paolo Sorrentino sui figli da non far crescere a Napoli perché troppo violenta. Non è un caso.
Chi scrive ha firmato – insieme ad altri napolisti – un libro per celebrare il record di Gonzalo Higuain con il Napoli: 36 gol in un campionato. Meglio di Nordahl, meglio di Angelillo. Un libro che si apre con la parola “juventino”associata a Gonzalo e si chiude con un’intervista immaginaria a un Higuain vecchio che spiega perché decise di andare via dopo la stagione del record. Libro pubblicato prima dell’inizio della telenovela juventina. In fondo, bastava avere occhi per guardare. Ed è anche giusto essere ciechi, è comprensibile. Non è la prima volta né sarà l’ultima. Si vuole il tifoso obbligatoriamente cieco. È un concetto che personalmente non condivido, ma – per dirla alla Benitez – ci può stare. Però bisogna riconoscerla la cecità, ammetterla. E non pretendere che la cecità sia legge.