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Romanzo napolista \ Il colore di Sallustro, la Juventus e i “rossi”

Tredicesima puntata del romanzo “Hard Boilin’ Football” di Pasquale Guadagni.

Romanzo napolista \ Il colore di Sallustro, la Juventus e i “rossi”

Attila! Attila! L’indomani, appena arrivato al campo del rione Luzzatti, in anticipo sugli inglesi, Reginaldo vide il centravanti dell’A.C. Napoli che si preparava e iniziò a chiamarlo a squarciagola.  Chi è quel diavolo? – chiese a Sallustro il mister Willy Garbutt, che seguiva assorto il riscaldamento pensando alla migliore formazione da mandare in campo per l’inizio del campionato. E’ un amico di Ascarelli e degli inglesi che sfidiamo in amichevole – rispose Sallustro. Bene, allora fallo entrare, – fece mister Garbutt – così capiamo qualcosa dei nostri avversari.

Sallustro presentò Reginaldo al mister. Il messicano fu impressionato dall’aria da gigante buono di Willy Garbutt, che subito iniziò a fargli, nel suo inglese vellutato, domande circostanziate. – Dimmi, gringo, i tuoi amici giocheranno con ali di ruolo? – No, mister, non credo che voleranno, come si fa a volare contro Attila? – Con un sorriso, Sallustro intervenne, spiegando al mister che Reginaldo non ne sapeva molto di football e di schieramenti in campo. Garbutt, sornione, aggiunse: –  Certo, certo, non ne sanno mai niente i pretattici! Poi Garbutt si allontanò verso Carletto Buscaglia e gli disse: “Conosco gli inglesi, sono uno di loro. Se passiamo in vantaggio tu arretri sulla linea dei difensori, Attila passa mediano di fascia, Fenili si accentra e porta l’acqua a Vojak”. Buscaglia, lottatore antico, aggiunse solo: “Mister, li facciamo secchi!” Attila, – disse Reginaldo – volevo ringraziarti per ieri sera, senza il tuo intervento quello sbirro avrebbe fatto quel che voleva. Basta con i ringraziamenti, pistolero! – gli fece Sallustro di rimando – Ora preparati a vedere il Napoli e poi sai che facciamo io e te? Ce ne andiamo in gita sul Vesuvio, lassù c’è un gran panorama, è un posto ideale per starsene in pace.

Gli inglesi di Floyd arrivarono alla chetichella nella tarda mattinata, con gli sguardi smunti e le occhiaie pronunciate. L’inizio della partita era previsto per le undici e trenta. Quel giorno ebbero una lezione severa, non giocavano una partita vera da settimane e il Napoli non mancò di ruggire. Fin dal fischio d’inizio Reginaldo, molto eccitato perché assisteva alla prima vera partita della sua vita, si mostrò del tutto schierato per Sallustro e il suo Napoli. Seguì la partita da bordocampo, vicino a Garbutt ed Ascarelli, tempestandoli di domande ogni volta che il gioco veniva interrotto, ma imparò in fretta i vari meccanismi e a fine primo tempo si era già fatto un’idea precisa sul significato dei calci di punizione, dei corner e delle rimesse laterali. Il Napoli arrivò all’intervallo conducendo per 2-0 grazie ai gol di Sallustro e Mihalic e, mentre le squadre uscivano dal campo, Reginaldo si avvicinò a Floyd, che ansimava pietosamente, e gli disse: “Tira brutta aria, eh?”. L’inglese, in debito d’ossigeno, neppure lo calcolò e corse verso le latrine. Poi La Cruz andò da Ferruccio, sceso in campo con il pugnale alla cintola, ed esclamò in messicano: “Camerata, Sallustro non lo fermi neanche con quel temperino!”. Ma Ferruccio non possedeva la lingua universale dei campioni e non capì niente.

Garbutt diede ai suoi le nuove disposizioni tattiche, per fare un secondo tempo di copertura e amministrare il vantaggio. Ma con la complicità degli avversari, che giocarono quasi di continuo in inferiorità numerica, alternandosi turbinosamente ai gabinetti, il Napoli dilagò con due reti di Vojak, ancora Sallustro, Fenili e addirittura il portiere Cavanna, che a un quarto d’ora dalla fine, approfittando della contemporanea fuga al bagno delle due punte avversarie, lanciò un urlo, passò la mediana, s’involò verso l’area chiedendo il triangolo a Fenili e, ricevuto il passaggio di ritorno, entrò in porta palla al piede. Un trionfo. Allo scadere, l’arbitro fischiò un rigore per il Napoli per fallo in area del portiere Ferruccio, uscito su Fenili pugnale alla mano. Sul dischetto andò Sallustro che, per non infierire oltre quel 7-0, tirò un piattone centrale, lento e a mezz’aria. Ferruccio, col sangue agli occhi, mentre il centravanti prendeva la rincorsa, tirò ancora fuori il suo pugnale, si vide arrivare il pallone addosso e lo inforcò con la lama. L’arbitro espulse Ferruccio per deliberato danneggiamento del pallone e fischiò la fine. Sallustro, con la calma del vittorioso, andò a congratularsi con l’estremo difensore, dicendo che in vita sua non aveva mai visto ancora un portiere bloccare di prima un rigore senza toccare la palla con le mani, ma l’avanguardista diventò ancora più nero.

Verso le cinque del pomeriggio Attila e Reginaldo scesero dalla FIAT 509 A che il centravanti aveva chiesto in prestito ad Ascarelli e s’incamminarono verso l’Osservatorio vesuviano. Attila si portò dietro un libro che aveva appena iniziato a leggere e mostrandolo al messicano disse che gli sembrava pieno di congetture importanti per il mestiere di calciatore: era una copia della prima edizione tedesca di Essere e tempo di Martin Heidegger. – Gran bella macchina! – fece La Cruz scrollandosi di dosso la polvere – Non scherza, la tecnologia fascista. – Dì un po’, Attila, come hai detto che si chiama la fabbrica di queste automobili? – FIAT, Fabbrica Italiana Automobili Torino. I padroni della FIAT sono anche i padroni della Juventus, una delle migliori squadre italiane. – E perché Ascarelli va in giro con un’automobile della Juventus e non se ne fa una sua? – Che vuoi che ti dica? Ascarelli fa affari con i tessuti. – Allora potrebbe dire a quelli della Juventus che se vogliono vendere a Napoli le loro automobili si devono far cucire le maglie dalle sue manifatture. – Non lo farebbe mai, Ascarelli non è un tipo da ricatti. – Allora andiamoci noi da quei fottuti della Juventus e facciamogli vedere chi la sa più lunga. – Tu sei suonato, Reginaldo, perciò mi stai simpatico. – Comunque non c’è che dire, è una signora automobile, in Messico automobili così arriveranno tra almeno vent’anni. – Sì! Quando la Juventus andrà a giocare a casa tua! – Andrà proprio così, mica è uno scherzo. – I due iniziavano a salire e Reginaldo faceva una certa fatica a tenere il passo di Sallustro. – Attila, scommetto che la Juventus ha la maglia granata, come il colore dell’automobile di Ascarelli. – Niente di più falso! Il granata è il colore del Torino, l’altra squadra torinese, i nemici più acerrimi della Juve! – E allora che maglie hanno? – A strisce verticali bianche e nere. – Come i fottuti carcerati? Se giocano vestiti da carcerati, devono portarsi dentro un gran senso di colpa. Dimmi la verità, ne hanno fatta una grossa quelli della Juve? – Ma che hanno fatto? Niente, hanno solo scelto una maglia bianca e nera. – Tu non vuoi vedere in profondità, amico mio, tu sei troppo buono. Non ti rendi conto? Esistono tanti colori e quelli scelgono il bianco e il nero, addirittura a strisce verticali! E per giunta costringono le altre squadre a comprare le loro automobili! Questa Juventus inizia proprio a starmi sui coglioni! – Pistolero, sei già diventato un tipico napoletano! Ai tifosi del Napoli interessa più battere la Juventus che fare un buon campionato. Io che le cose le vedo dal campo la penso diversamente, la Juventus ha fior di giocatori, Combi, Rosetta, Orsi, giocare contro di loro è un piacere, anche quando va a finire male, perché comunque vada si gioca davvero a football. – Sarà come dici, ma una squadra travestita da carcerati non me la conta giusta. Dì un po’, sono fascisti quelli della Juventus? Beh, in Italia non è ammesso essere qualcos’altro. Però ho sentito dire che il Duce a Torino ha avuto più problemi che altrove, lì ci sono la FIAT, le fabbriche e, dopo quello che è successo in Russia, può capitare che tra gli operai circolino certe idee. – Lo vedi? Sono dei rossi e si sono già vestiti per la galera! Chi è il padrone della FIAT? – Un tale Giovanni Agnelli. – Agnelli! Niente di più scontato! Ma la lupa mangerà l’agnello! – Guarda che tra gli operai ci sarà pure qualche rosso, ma la lupa a Torino è Agnelli. – Sì, magari con il gessato bianconero. A quello sbirro che voleva arrestarmi bisognerebbe dirglielo di farsi un giro a Torino, invece di perdere tempo con me. – Arrivati vicino all’Osservatorio, Attila e Reginaldo si sedettero su un pratone da cui si godeva un’incantevole vista su Napoli e sul golfo. Era una splendente giornata d’estate e i piroscafi per le isole lasciavano scie nitide e sottili. – Attila, com’era quella storia della sublimazione del politico?

– Sì, ricordo, te ne ho accennato il giorno in cui ci siamo conosciuti. Questa è la mia visione del football, in cui io accado come evento specializzato, ogni calciatore, ogni mister, ogni presidente, nel football accade come evento specializzato e la specializzazione di ognuno concorre a plasmare l’intero della veritazione calcistica. La mia specializzazione, poiché sono centravanti, è quella di portare in area di rigore l’attimo redentivo, di lasciare accadere la verità sotto forma di gol e palla a centro. Ma i miei gol non sono la verità, bensì solo una partecipazione al vero. Ogni specializzazione, per accadere, ha bisogno del sostegno di tutte le altre. All’inizio potrà sembrarti strano, ma io ti dico che non saprei mai fare gol se non mi sentissi nell’armonia di un sistema coerente di cui partecipano gli altri calciatori e i non calciatori della squadra di cui faccio parte. E’ solo nei colori sociali della squadra che va a gremirsi, in un’unità, non divisibile e come tale sacra, la congerie di atti visibili ed invisibili che, vettori onnidirezionali, fanno della veritazione calcistica un manifestarsi possibile, sotto forma di evento storico aperto sull’escatologico. Ogni ruolo, un aprirsi al vero, ogni apertura al vero, un rendere grazie al divino che si fa immanente, che fa partecipare del suo afflato l’evento virtuoso in cui sa compiacersi. Un portiere renderà grazie al vero quando avrà saputo edificare un muro invisibile in luogo della sua porta, un difensore quando avrà saputo convivere con l’ostruzione al suo fianco, un mediano quando avrà saputo diradare la scienza della diga e quella del riflusso come esistenziali fondamentali, un goleador quando avrà saputo riconoscere le misure della porta come e meglio dei tratti del volto di sua madre, un mister quando avrà saputo dare le consegne perché su nessuna zolla ricada una vacanza di salvaguardia, un presidente quando avrà saputo mettere le mani per fare di una squadra non solo una somma addizionale di corpi, ma anche e in primo luogo un quoziente non decimale né periodico di spiriti attuosi.

Ascoltando le parole di Attila, La Cruz aveva iniziato a piangere di commozione e a dirsi che, in un modo o nell’altro, avrebbe dovuto consegnare la sua vita a quel genere di missione. Dopo una lunga pausa, Sallustro lievitò in modo impercettibile e, chiusi gli occhi, si abbandonò ad una tirata di sapore evangelico:

– Beati gli estremi difensori, perché avranno reti e non dovranno pescare, beati i terzini, perché morderanno caviglie e polpacci,
beati i mediani, perché ruberanno e distribuiranno palloni,
beati gli attaccanti, perché violeranno gli zero a zero,
beati infine i cursori di fascia, perché il football senza ali di ruolo perde profondità e svilisce le torri.

Quando riaprì gli occhi, visibilmente stordito, Attila si chiese dove mai fosse. Impiegò qualche minuto a rendersi conto di essere sul Vesuvio in compagnia di Reginaldo, ma presto si sentì di nuovo in forze.  Insomma, – esclamò Attila – tornando alla tua domanda, il football con la politica non ha niente da spartire, ma insieme ne è, con la sua forza di metafora, la sublimazione in un orizzonte simbolico più vasto, laddove invece il dominio del politico rimane sempre costretto nel recinto dell’empiria. Vedi, amico mio, prima tu stesso, sia pure a torto, hai parlato della Juventus come di un possibile covo di rossi. Quando la Juventus detta la sua legge sui campi di football d’Italia, si limita ad affermarsi come la depositaria di un modello di football da battere, voglio dire che, nell’attimo in cui Orsi segna o Combi para, accade quel disvelamento del vero di cui ti dicevo, non accade affatto qualcosa di politico. Ma poiché il football reca in sé un esplosivo potenziale di metafora, ecco che, seguendo per esempio la traccia del tuo teorema, diventa facile, oltre che irresistibile, vedere in una parata gladiatoria di Combi l’immagine dell’indomita resistenza del proletariato mondiale ai ciechi assalti del capitale borghese. – Ehi, Attila, ma come parli? I rossi non parano un cazzo! – Te l’ho detto che era solo un esempio, per di più sulla scorta di una tua supposizione falsa. Altro che rossi! La Juventus non è la squadra degli operai, è la squadra di Agnelli che, per curarsi gli affari, con il Duce deve andare per forza a braccetto. Fidati, la verità è che le parate di Combi rappresentano il monopolio della 509 A con cui siamo arrivati fin qui!

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