Facciamo un giochino veloce: chi ricorda un gol decisivo di Messi con l’Argentina? Sì, qualcuno risponderà. Ne avrà fatto qualcuno, per forza. Eppure, c’è sempre “qualcosa che manca” nella storia tra la Pulga e la Seleccion. Una grande vittoria, magari. E non rischieremmo di essere banali, perché in realtà è proprio quello. Il gol decisivo sarebbe una ciliegina sulla torta. Anzi, in questo caso una ciliegina sulla coppa. Mancandoci la coppa, però, anche la ciliegina non ha senso.
Stanotte, Messi ha in qualche modo invertito metà di questo trend negativo. L’ha fatto entrando definitivamente nel libro dei guinness della nazionale albiceleste, superando Batistuta come miglior goleador di sempre. Per lui, ora, siamo a 55 in 112 partite. Ben lontani dalla media mostruosa, disuamana con il Barcellona (453 in 513), ma comunque vicini al gol segnano in una partita sì e in un’altra no.
Per battere il record, ha utilizzato il “metodo Higuain”. Di solito, chi diventa leader in una particolare classifica di marcature, trova quella decisiva con una deviazione fortuita o fortunosa oppure con un calcio di rigore. Un gol banale, comunque. Ebbene, Messi ha fatto come il Pipita, quando col Frosinone cancellò Nordahl con una rovesciata sensazionale. Il fenomeno di Rosario ha usato un calcio piazzato. In comune, i due gol, hanno pure la scarsa reattività dell’estremo difensore (Zappino nel Frosinone, Guzan negli Usa). Ma la bellezza resta, è intatta, nonostante il piccolo errore altrui.
Mezzo trend è invertito, dicevamo. Perché questo è un gol che ha un peso, oltreché bellissimo. Forse non è stato determinante nell’economia del risultato (è un 2-0 in una partita che finirà per 4-0, dominata dalla squadra di Tata Martino), ma comunque mette dietro Batistuta e aiuta a portare l’Argentina in finale di Copa America. Un anno dopo la sconfitta ai rigori col Cile, in attesa di un’avversaria che uscirà stanotte dalla seconda semifinale e che potrebbe essere proprio la nazionale Roja, attesa dalla giovane Colombia dell’argentino Pekerman.
Al di là del gol, però, c’è la sensazione che questo sia un nuovo Messi anche in Nazionale. Decisivo, finalmente. Non impaurito dalla responsabilità, dal diez sulla maglia, da una fascia di capitano che gli spetta per forza anche se lui non è proprio un leader carismatico. Uno alla Maradona, per intenderci. La prestazione del fuoriclasse del Barça è stata assoluta, totale, una gioia per gli occhi e per la mente. Come ieri sera contro gli Stati Uniti, così tre giorni prima contro il Venezuela. E nel girone, nella sgambatina contro Panama: qualche minuto per recuperare condizione, una tripletta.
Finalmente, anche i giornali argentini celebrano Messi come un leader anche per la Nazionale: sul Clarin, la Pulga diventa amo y señor, letteralmente “comandante” della squadra argentina, che vola in finale per un’altra grande occasione da sfruttare. L’ennesima grande occasione, verrebbe da dire. Messi e i suoi ne hanno già sprecate un bel po’, dal Mondiale 2006 (perso ai rigori contro Kilnsmann, ieri ct degli Usa) fino alle due finali degli ultimi due anni, a Brasile 2014 e Cile 2015. A New York, domenica, Messi può invertire l’altra metà del trend. Anche senza gol, ma basterebbe portare gli argentini di nuovo a un trofeo senior dopo 23 anni. Oggi che si celebra il trentennale di Argentina-Inghilterra 1986, gli argentini dovrebbero aver trovato un Messi capace di raccogliere la pesante eredità di Maradona, almeno in campo. Come leader di gioco, anche negli attimi che contano. Manca solo un trionfo a certificarlo, anche se è banale. Finora è mancato anche perché Leo, con la diez albiceleste indosso, ha sempre un po’ fallito nel momento del dunque. Forse, qualcosa sta cambiando. Finalmente.