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Francesca porta Napoli su Marte: «Vorrei aiutare tanti ricercatori a non lasciare la città»

Francesca porta Napoli su Marte: «Vorrei aiutare tanti ricercatori a non lasciare la città»

È tornata da Mosca martedì sera a mezzanotte, e ieri mattina alle 7.30 è già al suo posto di lavoro e risponde alle e-mail. Francesca Esposito, 43 anni, napoletana, non è andata su Marte, come qualche conoscente le ha chiesto, ma è la ricercatrice dell’Inaf che ha preso parte alla missione ExoMars, frutto di una collaborazione tra Agenzia Spaziale Europea e Roscosmos, partita alle 10.31 di lunedì scorso dalla base di Baikonour, in Kazakistan, per il suo lungo volo che durerà sette mesi e la porterà su Marte dove inizierà le sue indagini alla ricerca di attività geologica o addirittura biologica sul Pianeta rosso. A bordo del Trace Gas Orbiter (TGO), il veicolo spaziale che rimarrà in orbita attorno a Marte, e di Schiaparelli, il lander che si poserà sulla sua superficie, sono presenti strumenti scientifici che vedono un fondamentale contributo italiano sia dal punto di vista scientifico, con l’Istituto Nazionale di Astrofisica e altri centri di ricerca e Università, sia dal punto di vista tecnologico e industriale, con Thales Alenia Space Italia alla guida della progettazione di entrambe le missioni ExoMars e il supporto fornito dall’Agenzia Spaziale Italiana.

L’ufficio di Francesca è all’Osservatorio Astronomico di Capodimonte, a salita Moiariello, una scrivania piena di appunti e disordine, esattamente come ci aspetta da uno scienziato.E una finestra con uno spettacolare panorama di Napoli. «Anche se sono sempre in viaggio è un privilegio poter godere di una vista così quando sono al lavoro». 

È sorridente, anche se la stanchezza del viaggio si percepisce. «È stato un viaggio japanese style – commenta – quattro giorni di continui spostamenti. Appena mezz’ora dopo il lancio, a Baikonour, ci hanno portati in aeroporto e imbarcati per Mosca dove abbiamo monitorato le fasi di sgancio e l’apertura dei pannelli solari. Non è come quando nei film vedi le immagini dei lanci delle missioni americane, c’erano pochi operatori e tante scritte in russo. Se non fosse stato per l’astronauta italiano Nespoli che, vedendoci disorientati, ci ha instradati su un monitor, non avremmo saputo dove guardare. Nel momento in cui aspettavamo il segnale dell’avvenuto distacco, ci sono stati pochi secondi di buio, sembravano un’eternità e poi da un monitor abbiamo visto che alla base Esa (Agenzia spaziale europea) di Darmstadt stavano esultando e abbiamo capito che era stato un successo».

Un’esperienza entusiasmante, un sogno che si realizza dopo non poche vicissitudini. La missione ExoMars è stata più volte rimandata, sarebbe dovuta partire nel 2009 ma poiché non rientrava nel programma obbligatorio dell’Esa, non beneficiava dei fondi previsti dall’Europa. Bisognava trovare Stati disposti a finanziarla. «All’inizio il maggior finanziatore era proprio l’Italia – spiega Francesca – con il 33% ma, come spesso accade, i costi aumentarono e il governo Berlusconi decise che preferiva prestare maggior attenzione all’Italia piuttosto che alle missioni spaziali. Il progetto si fermò. Poi arrivò la Nasa che modificò in parte il progetto, ma anche loro si sono tirati indietro, e alla fine la missione è stata portata a termine con il contributo dei russi».

Dreams è la piccola stazione meteorologica che scenderà su Marte di cui Francesca è il PI (Principal Investigator). «Dreams è frutto di una collaborazione tra Inaf, Asi e Cisas di Padova, io sono quello che normalmente si definirebbe il capoprogetto. Quando è stato proposto il bando, abbiamo organizzato diversi workshop con ricercatori europei per mettere insieme le proposte per i vari strumenti, io le ho selezionate e ne ho supervisionato la realizzazione. È stato un duro lavoro ma non è finito».

La stanchezza e quel pizzico di imbarazzo di sentirsi sotto i riflettori adesso sono un lontano ricordo; mentre parla del suo lavoro, della sua creatura, Francesca si rilassa. «Una volta atterrato su Marte, Dreams ci trasmetterà rilevamenti e informazioni sulle condizioni meteorologiche del pianeta, potremo misurare anche il campo elettrico». Una novità rivoluzionaria e una risorsa importante per studiare il fenomeno delle tempeste di sabbia che sul pianeta rosso assumono spesso carattere globale offuscando l’intera atmosfera. «La missione al suolo durerà quattro giorni ma le batterie di Dreams ci permetteranno di avere misure solo per i primi due giorni e solo per sei ore al giorno, perché il pianeta è freddo e le batterie serviranno per riscaldare il modulo». Potrebbe andare avanti per ore a spiegare, a parlare di meteorologia, di fisica e si starebbe ad ascoltarla con piacere perché lo fa con semplicità e senza alcuna presunzione accademica. 

Le chiediamo da dove nasce questa passione per le stelle, magari da un telescopio a casa. «In realtà il telescopio l’avevo, ma la mia passione è nata l’ultimo anno del liceo scientifico grazie alla professoressa di geografia astronomica che è stata una vera ispiratrice. Le sue lezioni erano sempre molto stimolanti, ci portava a vedere le mostre, ci leggeva articoli e ci faceva studiare le nuove scoperte. Un giorno, in cui non ero neanche troppo attenta, rimasi fulminata, quando disse: “La luce che viene dalle stelle è una luce che viene dal passato”. Mi colpì, non ci avevo mai pensato e così cominciai a studiare le stelle, i buchi neri, le nebulose».

Dopo il liceo, Francesca si è laureata in fisica, indirizzo astrofisica ed è approdata all’Osservatorio di Capodimonte per scrivere la sua tesi. «Allora non esisteva uno stretto rapporto tra l’università e l’Osservatorio, che oggi invece cerchiamo di favorire e portare avanti; cercavo qualcosa di diverso da quello che si studiava in facoltà e quando il professor Colangeli, che dirigeva l’Osservatorio, mi disse: “Facciamo fisica cosmica e poi c’è un progetto su Marte” fu la mia seconda illuminazione e da allora Marte è stato il mio pianeta. L’astrofisica delle stelle è bellissima, ma legata a possibilità, supposizioni, lo studio dei pianeti invece ci offre la possibilità di verificare, avere dati certi da analizzare. In questi ultimi dieci anni è tutto cambiato, siamo arrivati su una cometa, abbiamo trovato l’acqua sui satelliti di Giove. Se penso ai fascicoli che acquistavo da ragazza o anche alla mia tesi, sembrano preistoria. Oggi non c’è tempo per respirare tra una missione e l’altra perché sono continue e i lavori contingentati».

Il suo entusiasmo è coinvolgente quando si parla di pianeti, stelle, dati da analizzare, nuovi orizzonti da scoprire, per dirla alla Star Trek, anche se la scienza comporta tanto lavoro e grossi sacrifici soprattutto per la famiglia e i suoi due figli. «Viaggio tanto, ma sono fortunata – precisa – perché alla fine posso tornare a casa. La maggior parte dei miei colleghi qui non sono napoletani, anzi quando arrivai forse ero l’unica. Quasi tutti quelli che hanno studiato con me all’università oggi sono all’estero, a Napoli siamo rimasti in tre. Lo stesso ex-direttore Colangeli, che ha fatto tanto per l’Osservatorio, era di Lecce. Adesso sto cercando di stringere rapporti di continuità con l’università perché vorrei costruire qualcosa di concreto e duraturo per l’Osservatorio e per questa città, qualcosa che non costringa i giovani ad andarsene. Chi viene da fuori è sempre di passaggio, come tanti colleghi che hanno lavorato qui per anni, ma poi si sono trasferiti in altre strutture. Solo chi è di Napoli può avere un approccio diverso e capire il valore della costruzione in questa città che ha grandi potenzialità e tanta voglia di fare».

Nel frattempo, si pensa al prossimo progetto. «Stiamo lavorando a Micro Medusa che dovrebbe far parte del Lander del lancio di ExoMars del 2018, abbiamo già realizzato il prototipo ma non abbiamo i fondi per portare a termine il progetto. Sembra che la Regione Campania sia interessata a sovvenzionarlo. Speriamo bene, nel frattempo non ci fermiamo mai».

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