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Gonçalo, portoghese che tifa Napoli: «Mi è bastato vedere in tv una città in festa per scegliere il Napoli come squadra del cuore»

Gonçalo, portoghese che tifa Napoli: «Mi è bastato vedere in tv una città in festa per scegliere il Napoli come squadra del cuore»

È portoghese, non è mai stato a Napoli, eppure gli è bastato vedere in tv le immagini della città in festa per la promozione in A, nel 2007, per rimanere talmente impressionato da decidere di tifare Napoli. Gonçalo Marques non è uno sconosciuto ai lettori del Napolista: fu lui stesso, due anni fa, a raccontarci la sua storia, poi, l’anno scorso, è tornato sulle nostre pagine grazie ad un’intervista di Luca d’Emilio.

Ha ventisei anni ed è nato a Lisbona, studia Relazioni Internazionali e vive a Campo de Ourique. È soprannominato Kinkas dal nome del coniglio protagonista di un vecchio cartone animato: «Aveva delle orecchie enormi e poiché da piccolo avevo sempre i capelli cortissimi e mi si notavano le orecchie, hanno iniziato a chiamarmi così». Non è mai stato a Napoli, ma ha conosciuto tanti napoletani attraverso i social e oggi coglie le affinità tra i due popoli: «Siamo caldi, accoglienti e simpatici, come i napoletani che conosco. Essendo un popolo di immigranti riusciamo ad adattarci facilmente a nuove culture e regole, ma non siamo molto uniti. Siamo anche un po’ pigri. Da noi si dice “Il buon portoghese fa sempre tutto nell’ultimo giorno”. Ci riduciamo all’ultimo. È una cosa di natura».

Parla di Lisbona come di una città molto luminosa, detta la “Città delle sette colline” per i tanti punti panoramici (miradouros) che offre. Racconta di Belém, la zona storica ricca di monumenti e musei e del centro (Chiado) con tante cose bellissime da scoprire. Si sofferma sul piatto tradizionale, le “tripas à moda do Porto” e sul baccalà «qua lo facciamo benissimo, in cento modi diversi». E poi racconta del calcio. Mi spiega che in Portogallo le tre squadre principali, Benfica, Porto e Sporting, hanno migliaia di tifosi, ma le altre ne hanno pochissimi: «Ci sono partite della 1ª Liga che a volte registrano solo 1000, massimo 2000 presenze allo stadio. È sempre stato così».

Sua madre e suo padre, tifosi dello Sporting, gli hanno trasmesso una certa simpatia per la squadra, che però non si è mai trasformata in passione. L’amore vero è scoccato nel 2007, per il Napoli: «Su ‘Sport TV’, una specie di Sky portoghese, ho visto un servizio di fine stagione. Sono rimasto colpito dalle immagini che hanno fatto vedere: quelle dello stadio Ferraris e delle città di Genova e Napoli. Mi ha colpito vedere milioni di persone a Napoli in festa, una cosa mai vista in vita mia». Da quel momento, Gonçalo ha iniziato a tifare Napoli. Non conosce altri tifosi azzurri in Portogallo. Spiega che dalle sue parti la gente ha sempre preferito altri campionati al nostro, soprattutto la Premier League e la Liga e che le squadre italiane più note in Portogallo sono “le strisciate”. Per questo motivo, per tenersi aggiornato sulle notizie riguardanti il Napoli, ha imparato l’italiano, leggendo siti e giornali che si occupano della squadra.

«Il Napoli mi fa credere nelle favole – dice – mi fa credere che a volte quello che sembra impossibile non lo è, che pur non essendo i più forti né i più talentuosi, con lavoro e dedizione si può arrivare alla gloria, nello sport come nella vita. Il Napoli è una squadra che non molla mai, che ci crede sempre, un po’ come me».

Gonçalo ha visto il Napoli dal vivo tre volte, finora e sempre in Portogallo: nel 2008, nella gara di ritorno di Europa League contro il Benfica, nel 2014 in Europa League contro il Porto e ancora, nell’amichevole di presentazione del Porto nell’estate del 2015. «Quella contro il Benfica non la dimenticherò mai, fu una brutta serata. Arrivai in ritardo allo stadio, la partita era già iniziata; il posto che occupavo era vicinissimo alla curva del Benfica, perciò non ho potuto esultare ai gol del Napoli. Abbiamo anche perso. Ma ero troppo felice di vedere il Napoli dal vivo».

Pur non essendo napoletano, racconta di arrabbiarsi moltissimo quando negli stadi si levano cori razzisti contro di noi: «Sono cori di ignoranti e frustrati che non capiscono i valori dello sport. Si va allo stadio per tifare la propria squadra o per insultare con cori beceri una città e un popolo? Non mi entra nella testa. Il giorno in cui i cori razzisti verranno puniti con misure più pesanti, come la squalifica dell’intero stadio, l’individuazione di chi li intona e la perdita di punti in classifica, allora le cose cambieranno». È convinto che giocare contro il Napoli oggi significhi affrontare un’intera città e un intero popolo: «È tutto in quel verso ‘oggi come allora difendo la città’. Con la crescita della squadra negli ultimi anni, i giocatori famosi che sono venuti al Napoli e l’aumento del sentimento di odio nei confronti della squadra e della città, oggi si avverte fortissimo il sentimento di difesa del luogo di appartenenza”. Un luogo che non è il suo, che, però, ha scelto di difendere come se fosse nato a Napoli.

I suoi amici lo definiscono pazzo, malato. Lo provocano con il sorriso sulle labbra, dicendo che il Napoli vince poco e che è una squadra quasi sconosciuta, ma lui resta impassibile. Si rammarica un po’ di non aver vissuto gli ani della Ma.Gi.Ca, «Ma non è che sia infelice per non averlo visto, anzi, mi ritengo molto fortunato perché il Napoli è una squadra che cresce anno dopo anno ed è diventata una delle più belle e serie realtà del calcio europeo senza l’aiuto di fondi d’investimento o cose del genere. Non siamo i più forti, non siamo i più ricchi e neppure quelli con più titoli in bacheca ma riusciamo a vincere qualcosa e a crescere. Siamo una squadra molto speciale, diversa. È questo che rende il Napoli unico. Mi dispiace non poter venire allo stadio, fare un abbonamento, cantare i cori delle curve, questo mi dispiace tanto».

Ha una passione per Marek Hamsik, ma confessa che non dimenticherà mai Gianluca Grava. Dice che cerca di non pensare a come finirà il campionato, ma di credere realisticamente che il Napoli finirà nei primi due posti. È convinto che il calcio sia questione di testa, più che di forma fisica: «La forma è importante per reggere le tante partite tra campionato e coppa, ma se un giocatore è concentrato e si diverte a giocare, allora la forma può diventare secondaria».

Guarda la partita in streaming, da solo, seduto ad una sedia del tavolo in cucina. Prima del fischio di inizio accarezza la maglia del Napoli. È nervoso: «Oggi giochiamo contro tre pullman», commenta. Ben presto si alza, «così non si può continuare». Al rigore non concesso impazzisce, si rammarica, spera entri Mertens, non smette di affidarsi al Mister. Nell’intervallo beve un caffè e cammina per casa: «Lo so, sembro matto, ma sono nervoso. Sarebbe più bello se fosse già 1-0 per noi», ride. Dopo il rigore negato ci annullano anche il gol per fuorigioco inesistente: «Ancora!? Ma dove andiamo a finire? Doveri e i suoi assistenti oggi sono i protagonisti». Poi arriva il rigore, lo guarda: «Sento un po’ un principio di infarto, ma va bene così». Quando segniamo soffre ancora di più, se possibile. «Mi viene l’infarto, ma certo oggi non muoio». Vuole vedere dove arriverà questo Napoli, è chiaro. Vinciamo, solo allora si calma:«Non molliamo mai, crediamo in questa squadra e in questi ragazzi che meritano tutto il nostro sostegno. E contro arbitri, cori, tutto e tutti sempre forza Napoli!».
Ilaria Puglia

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