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Napoli, il proprietario della casa del murales di Maradona: «Non aprirò più quella finestra»

Napoli, il proprietario della casa del murales di Maradona: «Non aprirò più quella finestra»

Napoli, Quartieri Spagnoli, nove del mattino. Ti aspetti che il giorno del restauro del murales Maradona ci sia fermento, gente che sale in pellegrinaggio, invece c’è un’insolita calma. Poi ti addentri su via Emanuele De Deo e lungo la strada, fuori le botteghe, e avverti un’aria diversa. Gli artigiani fermano i conoscenti che salgono in motorino: «Hai visto? Stanno ‘ncopp’a Maradona! Stanno rifacendo la faccia a Maradona». Arriviamo nello slargo dove sorge il palazzo con il mega Pibe de Oro ormai scolorito. Poca la gente sotto, in tanti, invece, quelli affacciati al balcone. Un grande evento sta per compiersi e chi abita qui non vuole perderselo.

Salvatore Iodice è sulla piccola gru, sale lungo il palazzo dentro al carrello elevatore. Concentratissimo sul suo scopo. Si fa passare i colori dall’interno dell’appartamento che con la sua finestra ha annullato la faccia di Diego e dà la prima pennellata: il padre risorge attraverso il pertugio che ha cercato di distruggerlo.

Sale un signore sul motorino, lo segue un bimbo con la maglietta del Napoli. Lui si gira e guarda la finestra. Poi si volta verso di noi: «È mia quella finestra, ci abito io lì», dice orgoglioso. È Ciro: ha comprato lui l’appartamento dove sorge la finestra, ma ha trovato la casa già così. «Quando venni ad abitare qui quella finestra già c’era – continua – e mi rattristai moltissimo perché deturpava Maradona. Così ci organizzammo tra noi del quartiere e decidemmo di restaurare il murales ma non sapevamo come fare, poi Salvatore ha avuto l’idea di montare le imposte e rifare il volto di Diego, del grande Diego», si ferma commosso. È difficile descrivere l’espressione dei suoi occhi. «Solo a parlarne mi vengono i brividi, vedete», e ci mostra il braccio con la pelle d’oca. Gli chiediamo se è contento che da adesso in poi potrà affacciarsi dal volto di Maradona finalmente visibile: «Ma sono contento anche di non aprirla più quella finestra! Avevamo anche pensato di fare qualcosa per chiuderla, ma non è stato possibile, perciò l’ho lasciata. Comunque sta quasi sempre chiusa. Quella è la finestra del bagno», spiega. Gi chiediamo se crede, come Salvatore, che il restauro di questo murales darà una nuova speranza ai Quartieri Spagnoli, se potrà davvero dimostrare che una rinascita è possibile: «Certamente. Non siamo tutti uguali, qui ai Quartieri, è fondamentale che si sappia. Mio figlio fa parte dell’Orchestra sinfonica dei Quartieri Spagnoli, per esempio. Salvatore sta facendo moltissimo per questo posto». Lo appoggiano tutti, qui? Ci saluta, va via senza rispondere.

Passa un tassista con un passeggero a bordo: «Scrivetelo che è una cosa importantissima, che ci stanno restituendo un simbolo di Napoli il grande Napoli del grande Maradona!». Tutti quelli che ci vedono intenti a prendere appunti si fermano a parlare con noi. È la finestra abusiva la grande protagonista della giornata, più ancora del Maradona. «E poi che succede? Là ci sta la finestra!». Chiedono tutti la stessa cosa: come sia possibile ridipingere il volto di Diego su quella finestra, come sia possibile che il proprietario abbia dato il suo consenso. Ciro è andato via: non hanno visto lo sguardo che aveva negli occhi, altrimenti non farebbero queste domande.

Giuseppe Medici, nato e cresciuto ai Quartieri, ormai quarantanovenne, ci racconta che quella finestra sorse all’improvviso: «Tornammo dalle vacanze estive e la trovammo là. Non ci potevamo credere, prima di allora su queste due facciate del palazzo non c’era neanche una finestra. Ci fu quasi una sommossa». Un altro passante ci racconta che il vecchio proprietario passò un sacco di guai per aver profanato il volto del Pibe. «Veder scomparire i lineamenti di Diego, nel tempo, è stato un dolore grande», continua Giuseppe. Chi passa ci chiede di ricordare chi realizzò il murales nell’anno dello scudetto: Mario Filardi. «Ammonticchiò tutto quello che trovò nei vicoli per farlo: si arrampicò su sedie, tavoli, scale, tutto quello che c’era disponibile e lo disegnò», racconta Giovanni. «È morto, Mario – continua Giuseppe Medici – non si sa come. Se ne andò in Olanda e la famiglia un giorno venne chiamata perché avevano trovato il figlio morto».

Da sotto, anche il gruista, Domenico Barra, l’incaricato alla gru per Sitelium, osserva affascinato il lavoro di Salvatore, che procede instancabile dopo aver dato la prima mano di nero ai capelli sbiaditi di Diego. «Non sono particolarmente tifoso del Napoli, cioè non sono un malato, ecco. Però è un’emozione grande partecipare. Sono stato scelto perché capo formazione della Sitelium, perciò sono venuto. Ieri un sacco di colleghi mi chiedevano se potevano prendere il mio posto, ma non era possibile». Racconta di essere venuto sul posto ieri pomeriggio per un primo sopralluogo, preoccupato dal poco spazio a disposizione per passare tra i vicoli, e di aver chiamato stamattina presto Salvatore, che gli ha fatto da apripista tra bancarelle e botteghe e che ha anche fatto spostare delle macchine dallo slargo per far passare la gru.

Salvatore inserisce le prime venature viola nel nero dei capelli al vento di Maradona. Dopo poco prende forma anche l’occhio concentrato e ammaliato dal pallone. Diego inizia a tornare vivo.

Passa il garzone di una bottega, sui quarant’anni, piumino addosso e occhi luccicanti. Ha un sorriso bellissimo sul viso: «Ci voleva – dice guardando verso di noi – è una cosa bella quella che sta succedendo».

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