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Marcelo, brasiliano tifoso del Palmeiras: «Ma in Italia il mio cuore è napoletano, non si può non amare la vostra città»

Marcelo, brasiliano tifoso del Palmeiras: «Ma in Italia il mio cuore è napoletano, non si può non amare la vostra città»

L’unico bel ricordo televisivo di questo Juve-Napoli, quello che probabilmente tutti i tifosi napoletani porteranno nel cuore, è stata la presenza di Careca negli studi Sky. Lo abbiamo ascoltato tutti, sabato sera, immedesimarsi con la squadra e la città: «Sono sicuro che possiamo vincere, ce la dobbiamo mettere tutta, siamo solo a -1», ha detto, lui, brasiliano adottato con amore da una tifoseria per la quale ha rappresentato un grandissimo campione.

C’è un altro brasiliano, però, meno noto, che ha una storia legata a Napoli che vale la pena raccontare. Lui si chiama Marcelo Promenzio, è nato quarant’anni fa a San Paolo, in Brasile, ma ha origini calabresi perché la sua famiglia proviene da Rossano Calabro. Tre anni fa Marcelo si è trasferito a Milano con la moglie: lei stilista, lui giornalista, producer e film maker, a Milano hanno trovato la propria strada. La particolarità di Marcelo è questa: «Sono 100% tifoso del Palmeiras in tutto il mondo – dice – Ma qua in Italia il mio cuore è napoletano». Un cuore sdoppiato, anzi, cuore doppiamente innamorato.

Marcelo ha scoperto il Napoli grazie ad un altro calabrese dal cuore azzurro, Francesco Diaco: «Quando sono stato a Rossano, nel 2010, ho conosciuto Francesco che mi ha raccontato alcune storie del Napoli e di Napoli. Mi ha fatto nascere la curiosità di conoscere la città e la squadra. Conoscevo la Napoli di Maradona, Careca e Alemão, ma non il Napoli del 21° secolo. Alla fine della mia visita a Rossano, Francesco mi ha regalato una maglietta di Cavani e così è cominciata la mia storia d’amore con la squadra».

Nel 2012 Marcelo decide di venire a vedere il Napoli giocare contro il Milan, allo stadio San Paolo, partita finita 2-2: «Che esperienza! Il San Paolo è uno stadio classico, come il Maracanã prima del Mondiale del 2014, come il nostro Parque Antarctica (lo stadio del Palmeiras) prima della restaurazione. È un bello stadio, sono stato bene lì. Quando il Napoli ha fatto gol, mamma mia, è stato un casino della madonna! È stato quel calore che mi ha fatto amare questa squadra». Marcelo si innamora contestualmente anche della città: «Una città dove si vede il Vesuvio e il suo splendido mare, che ha la pizza e persone come i napoletani, come si fa a non amarla? Napoli sembra Rio de Janeiro, caotica e bella. Prima di venire ne avevo sentito parlare come di una città pericolosa, ma io sono di San Paolo! Per me Napoli è tranquilla, normale. È una città stupenda e con della gente fantastica, è la casa della mia squadra italiana. La amo».

Secondo lui, brasiliani e napoletani si assomigliano molto come carattere e calore. Le uniche differenze? «Che qua fa freddo e grazie a Dio non c’è il carnevale, come in Brasile. Io sono un uomo rock, non so ballare samba, non mi piace Michel Telò e trovo il funk carioca una cosa terribile». Nonostante abbia conosciuto qualche brasiliano residente a Milano come lui, preferisce non frequentarli: «Per imparare a vivere in un paese diverso dobbiamo mischiarci con la gente locale, cioè con gli italiani», dice.

Marcelo tifa Napoli in Italia, ma resta sempre Palmeirense. «Il Palmeiras è il mio primo amore. Mio nonno tifava Palmeiras, il mio babbo, i miei zii, sono tutti tifosi del Palmeiras. La squadra è stata creata nel 1914 dagli immigrati italiani in Brasile. A quell’epoca si chiamava Palestra Italia, poi, durante la seconda guerra mondiale, il governo brasiliano ha imposto il cambio di nome. Il colore principale della maglietta è il verde, il secondo il bianco e il terzo l’azzurro, in omaggio all’Italia. Il Palmeiras è il maggior campione del XX secolo in Brasile: ha vinto scudetti importanti ed è anche il primo campione mondiale di club. Abbiamo vinto nel 1951 la coppa contro la Juventus di Torino!». Sorride, dicendolo, come se, insieme all’amore per il Napoli, avesse sposato anche la nostra rivalità con gli strisciati.  

Ci racconta che la tifoseria brasiliana è più musicale della nostra: «I tifosi portano allo stadio i tamburi e cantano tutto il tempo per stimolare le loro squadre», racconta, ma si rammarica del fatto che il calcio, in Brasile, abbia oggi perso il suo valore originario: «Ormai i calciatori pensano più ai soldi che a fare bella figura con le loro squadre. Neymar è uno di questi stronzi». Ha detto proprio così, “stronzi”.

Il brasiliano Marcelo è affascinato dall’argentino Higuain, che considera un fuoriclasse; non è scaramantico né superstizioso: «Il campionato? Napoli campeone», dice, però aggiunge che se pure non crede alla superstizione tiene un corno a casa.

Non guarda le partite a casa per un motivo ben preciso: «Berlusconi non me le lascia guardare, mi fa pagare, e io non voglio pagare la tv. Se fosse gratuita la guarderei, ma così preferisco andare allo stadio».

Impavido e ironico, Marcelo, che da adolescente, in Brasile, era soprannominato Tailao, «perché avevo tropo stile (Style On)». È convinto che nel calcio sia importante la testa come la forma fisica, «perché senza testa non si arriva e senza forma fisica ti fermi in mezzo alla strada». Dichiara di non aver mai avuto paura di guardare un rigore: «Guardo, sempre. Neanche nella partita che la Nazionale del Brasile ha perso contro la Germania 7-1 mi sono nascosto».

Marcelo, gli chiedo, ma secondo te, è meglio Maradona o Pelè? «Preferisco Evair Paulino, Ademir da Guia ed Edmundo» risponde, forse per non far dispiacere nessuno…  

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