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Sconcerti prova a spiegare che un pareggio (del Napoli di Sarri) non è reato. Ma il giornalismo ormai è a traino del risultato

Sconcerti prova a spiegare che un pareggio (del Napoli di Sarri) non è reato. Ma il giornalismo ormai è a traino del risultato

“Si ferma il Napoli ma giocando da protagonista. Se qualcuno pensa che provare a vincere il campionato significhi vincere tutte le partite è in errore palese, esistono anche buoni avversari. Il Genoa è uno di questi. Il Napoli ha abbastanza dominato, con un’ombra di stanchezza, ma tenendo sempre il gioco in mano. È un risultato normale…”. E ancora: “Inter e Napoli sono quelle che hanno perso meno, una sola volta. Nel cammino per lo scudetto questo è fondamentale”.

Parole e musica di Mario Sconcerti oggi sul Corriere della Sera. È l’effetto Playstation, è il calcio ormai vissuto non più come sport ma unicamente come veicolo, strumento per raggiungere una vittoria che in fin dei conti non regala nemmeno più tanta soddisfazione visto che sarebbe vissuta soprattutto come sfogo. Ieri sera a Sky Sport Sconcerti ha espresso il concetto riportato sul Corriere con parole molto simili. Il Napoli – ma è un fenomeno nazionale – ha evidentemente abituato male la platea se un pareggio fuori casa a Genova provoca qualche mal di pancia.

Fondamentalmente il Napoli di Sarri ha commesso un errore capitale. Lo stesso commesso da quello di Benitez la scorsa estate. Ha parato innanzi alla tifoseria il sogno scudetto. Dodici mesi fa era legato a una campagna acquisti e a un nome forte come poteva essere quello di Mascherano che avrebbe dovuto completare il ciclo con la Vittoria. Quest’anno, nonostante gli arrivi di Reina, Allan, Hysaj e altri, il sogno tricolore è stato dettato dal risultato del campo. Cinque gol alla Lazio, quattro al Milan, le vittorie su Juventus e Fiorentina, l’uno a zero in casa della bestia nera Chievo, oltre al gioco più bello del campionato italiano.    

Date queste condizioni, il Napoli a Marassi deve dominare e vincere in scioltezza. Magari segnandone tre. Altrimenti si storce il naso. Anche perché, diciamolo, in fin dei conti a noi – giornalisti o tifosi, in fondo la differenza non è poi così spessa – non tocca correre e lottare. Avevamo scritto qualche giorno fa che il Napoli di Sarri aveva esaurito il primo quadro. La squadra ha dimostrato di esserci e di potersela battere con tutti. Il che, sia chiaro, è concetto lontanissimo dal vincere ’o scudetto vera e propria ossessione della tifoseria napoletana. Dopo una dozzina di giornate nemmeno il Bayern ha la sicurezza di aggiudicarsi il campionato. 

Terminato il primo quadro, ne comincia uno più complesso. Che non si gioca esclusivamente sul terreno di gioco. Che deve tenere conto di una serie di fattori di cui spesso abbiamo parlato negli ultimi due anni e che qualche giorno fa abbiamo ricordato come fosse un tema caro persino a Maradona. Il ruolo dell’ambiente, inteso come stampa, tv, tifoseria. Perché è ovvio che stare lassù fa sì che le pressioni aumentino. E una cosa è giocare da outsider – perché nonostante fosse una signora squadra, il Napoli fin qui ha giocato da outsider – e un’altra è giocare da candidata all’ossessione.  

Torniamo a Monzeglio, alla mentalità ganadora, allo spalla a spalla che tanto ha fatto infuriare la città. Basta un pareggio in una partita pressoché dominata, giocata molto bene contro una squadra in salute, persino con un rigore negato, per far storcere qualche naso. Vincere tutte le partite 4-0 e 5-0 può succedere solo da adolescenti quando la notte prima di addormentarsi si immagina l’incontro del giorno dopo. Il resto è realtà, e la realtà è sangue e merda, polvere e acido lattico, sfortuna e svista arbitrale. Insomma quel mix di fattori che da sempre rendono il calcio una malattia inguaribile per chi ne è affetto.

Ovviamente, come abbiamo detto, è un problema che non riguarda solo Napoli. Ci sarà un motivo se la Roma negli ultimi venti anni ha fatto collezione di secondi posti. Bisogna dire che in questo quadro comunque farraginoso non ci si aspetterebbe operazioni di autolesionismo come quella firmata Aurelio De Laurentiis che si è in maniera improvvida e grottesca intestato il passaggio al 4-3-3 che è parso la panacea di ogni male.

Ci sarebbe da chiedersi perché prendersela con qualche mugugno della tifoseria quando ormai anche il giornalismo sportivo riduce tutto unicamente al risultato. Fino all’altro giorno leggevamo dell’elogio del ritorno ai titolarissimi, spernacchiamenti vari del turn-over e i paragoni infiniti con quell’incapace là. Poi si pareggia con nove tiri in porta e Reina praticamente inoperoso, e allora si legge qua e là che bisogna far rifiatare qualcuno, che così non si può andare avanti una stagione intera. Affermazioni che spariranno alle prossime vittorie del Napoli. Perché anche affrontare un tema in maniera slegata dai risultati è ormai impossibile. Oggi su Repubblica troviamo un elogio di Mancini che cambia formazione ogni domenica. Fosse andato in testa il Napoli, ne avremmo trovato uno su Sarri e il ritorno alla formazione-tipo. Fino alla scorsa settimana nessuno si era accorto che segnavano soprattutto Higuain e Insigne (in testa alla classifica marcatori!), ora c’è il rischio di diventarne dipendenti. E potremmo continuare a lungo.   

È il risultato a determinare l’analisi, null’altro. Forse è sempre stato così, di certo lo è stato dopo Spagna 82, la debacle del giornalismo italiano. La tentazione di prendersela con l’ambiente è forte ma poi uno ci riflette e se opinionisti e commentatori – tranne rarissime eccezioni – sono banderuole al vento del risultato, perché non dovrebbero esserlo i tifosi?

Casomai non lo sapesse, ma non crediamo, Sarri ha assaggiato le prime difficoltà del secondo quadro. Mai far sembrare la magnifica ossessione a portata di mano. Se fosse possibile, sarebbe meglio stare nel gruppone acquattati e scattare solo dopo lo striscione dell’ultimo chilometro, magari ai trecento metri. Figlio di ciclista, Sarri sa di cosa parliamo. Ma il suo Napoli è corridore generoso, ama la fuga da lontano, vuole dominare. Allora non resta che attrezzarsi contro il vento in faccia.
Massimiliano Gallo 

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