Aspettando, senza ansia, Napoli-Inter mi fa piacere spendere alcune riflessioni sulla pallanuoto napoletana costretta ad emigrare nella piscina storica e di stampo pionieristico – la Scandone non è da meno e questo dovrebbe far riflettere sulla povertà strutturale dei nostri impianti: li lasciamo andare in malora per mancanza di manutenzione ma continuiamo a dire che tutto va bene madama la marchesa – di Santa Maria Capua Vetere. Prendiamo il caso esemplare della Scandone: perché l’acqua è “divorata” da un virus che non riusciremo mai a pronunciare? Per incuria, crediamo o, comunque, per un accidente che poteva essere prevenuto. E gestito molto meglio. Anche in considerazione del fatto che la Scandone è l’unico impianto al servizio di quella mezza città che ha voglia di non lasciarsi vincere dalla pigrizia. Ma di questo poco si preoccupano i dirigenti che hanno la responsabilità morale e materiale della gestione degli impianti. Il risultato è la gita fuori mura – anche se graditissima – nella storica piscina del “Volturno” di Lello Sapienza e di Bebic che visse una stagione al vertice. In attesa di sapere se sabato la Scandone sarà disponibile per la sfida al Verona in pienissima zona Champions. Sarà disponibile sabato la Scandone? Ai posteri l’ardua sentenza, ma già abbiamo ascoltato una voce dal sen fuggita che sussurra: si giocherà a Salerno. Sempre più lontano anche se con le luci d’autore.
Ma ora torniamo a Santa Maria Capua Vetere per un elogio sincero della provincia che appena viene chiamata alla ribalta mostra verso lo sport un entusiasmo genuino e purificatore che in città ormai è impossibile trovare e riporta agli anni belli della pallanuoto, quando più che al Vomero i bagarini lavoravano all’esterno della Scandone in occasione dei derby e dei match agguerritissimi tra la Canottieri di Fritz Dennerlein, Gualtiero Parisio, Silvano Forte e Gigi Mannelli e il Recco di Eraldo Pizzo, Cevasco e Lavoratori. Amici fraterni nella vita, rivali acerrimi in acqua all’insegna del “prima ce le diamo di santa ragione e poi concludiamo la serata al ristorante tra abbondanti libagioni”. E così finiva anche a Genova perché l’ospitalità, insieme alle botte, veniva puntualmente ricambiata. A queste nostalgie sono indotto dalle emozioni vissute sabato pomeriggio in occasione dello scontro tra il Posillipo e la Canottieri, vinto, come si dice, con straordinaria autorevolezza dai ragazzi di Mario Morelli e Paolo Zizza – ah, dimenticavo il mitico Enzo Massa che dopo il doppio scudetto vino l’anno scorso con gli under 20 e 17, un posto al tavolo grande se l’è conquistato – che sono una realtà: squadra giovane, talenti prossimi ad esplodere, un solo straniero (Darko Brgulian, ormai integratissimo grazie alla pizza e alla mozzarella) e margini di crescita ancora altissimi. Gli stessi, per non far loro torto, dei ragazzi del Posillipo e dell’Acquachiara a conferma di un primato che è più genetico che costruito. Voglio dire che i nostri ragazzi hanno con l’acqua, dolce o salata che sia, un rapporto ancestrale: ci piace, è il nostro ambiente. Che si giochi alla Scandone o a Santa Maria Capua Vetere, anzi più nel secondo che nel primo caso. Visto che sabato sera, dopo l’entusiasmante galoppata e gli elogi del capitano del Posillipo Valentino Gallo («ci avete dato una lezione di pallanuoto») Fabio Baraldi, l’ariete giallorosso, ha firmato decine di autografi. A Napoli certe emozioni non si vivono da un pezzo perché gli spettatori “puri” – cioè non parenti o amici dei giocatori – si contano sulle dita di una sola mano. E, allora, cosa aspettiamo? La pallanuoto è ancora viva ma per dimostrarlo o ritorna a mare – ve li immaginate i derby giocati alla Rotonda Diaz o a Largo Sermoneta – o chiede ospitalità alla provincia. Dove i virus si combattono meglio.
Carlo Franco