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Sarri, l’immagine di un toscano consapevole e disincantato (e presuntuoso, che non guasta)

Sarri, l’immagine di un toscano consapevole e disincantato (e presuntuoso, che non guasta)

E Sarri parlò. Il 30 giugno, nella sua Valdarno, l’allenatore del Napoli ha finalmente ritrovato la parola. E, intervistato sul palco del Perlamora Festival, ha finalmente offerto ai tifosi del Napoli un minimo antipasto di sé. Forse è stata la cornice ideale per provare a capire qualcosa di lui: era sereno, disteso, nella sua terra. E bisogna ammettere che Sarri un suo effetto lo fa. Persino chi come noi si è formato alla scuola di Boris (breve video da non perdere sui toscani, non i sigari) ne è rimasto colpito. Un toscano diverso, con un eloquio sicuramente più compassato rispetto a quello di un suo corregionale illustre.

Sa sicuramente il fatto suo, e questo non è un male, mostra anche un discreta dose di presunzione. È consapevole dell’opportunità Napoli ma sembra intenzionato a non lasciarsene stravolgere. E soprattutto non sta lì a ringraziare come se gli avessero regalato il cielo. Ovviamente una cosa è parlare, un’altra è vivere realmente la sua avventura.

Sarri dice cose condivisibili. Dell’ambiente Napoli: «Empoli è un ambiente che sa aspettare, che è molto attento al settore giovanile e quindi sa aspettare sia i calciatori che gli allenatori. So che a Napoli non sarà così però io l’esaurimento nervoso non ce lo prendo, voglio divertirmi. Anche perché se io mi diverto, si diverte la squadra. E una squadra che si diverte può perdere una-due partite ma poi i risultati arrivano».
   
Della concezione del calcio in Italia: «Altrove chi guadagna di più deve impegnarsi di più, da noi c’è la concezione opposta».    

Del presidente De Laurentiis: «È stata una tratttaiva durissima, snervante.È durata otto-nove giorni. È una persona intelligentissima, particolare. In precedenza avevo perduto la Sampdoria perché avevo un accordo con una grande società. Poi loro (il Milan, ndr) l’indomani hanno preso un altro allenatore e io ho rischiato di rimanere fermo. E invece è arrivata la chiamata del Napoli».

Del rapporto con calciatori affermati: «Non so se il mio metodo andrà bene a Napoli, devo farmi seguire da calciatori affermati che sono arrivati fin dove sono arrivati seguendo altri metodi. So che non sarà semplice». Ha negato di aver visionato sessanta partite: «Ne avrò viste 25».

Del fumo («fumo quanto Zeman»), della scaramanzia («lo sono com’è normale esserlo nel calcio»), e anche della sua carriera: «Sono contento di essere riuscito a fare questo lavoro, quindi sono contento per questo. Poi è ovvio che l’ambizione conta tanto. Ma per me cambia poco allenare in serie B o in serie A, sono contento di allenare. Volevo che fosse la mia vita. Sono sempre stato accompagnato dallo scetticismo, in ogni piazza in cui sono arrivato, anche in seconda categoria. Per me è bello allenare, non conta la piazza. Poi so bene che Napoli è un contesto difficile ma sono teso e concentrato come lo ero ad Alessandria e in altri luoghi».

Del suo rapporto con le grandi piazze: «Per me cambia poco se alleno una squadra in C o una in serie A. Molti mi chiedono cosa si prova a entrare in un grande stadio, dico che provo la stessa emozione che ho provato in altri momenti negli stadi delle serie inferiori». 

Di sé dice: «Con gli anni sono diventato più duttile, per me prima tutto era bianco o nero, oggi non è così».

Le sue parole non spostano di una virgola il sapore della scommessa del Napoli di De Laurentiis ma siamo sicuramente di fronte a un uomo con una personalità ben delineata che sembra non marciare sul suo essere nato a Bagnoli («Sono valdarnese al cento per cento»), almeno non lo ha fatto in Toscana. Un allenatore che nel gioco delle probabilità non ha escluso un esito negativo della sua esperienza napoletana. E non è un male. Dialetticamente sembra molto diverso da Sacchi (anche se gli copia la battuta sul fantino e l’allenatore a proposito di allenatori che non hanno mai giocato a calcio). Certamente sicuro di sé ma i quindici e passa anni in più (rispetto all’esperienza di Arrigo al Milan) si avvertono. C’è più disincanto. Ora bisogna vedere quanti feeling scatteranno. Con la società («È fondamentale per la buona riuscita di un allenatore»), con i giocatori e con il pubblico.
Massimiliano Gallo

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