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Il vento moggiano per Lippi e i Cannavaro spiega tante cose di questi mesi a Napoli

La grande paura, a leggere i social e ad ascoltare qualche amico, ha un nome e un cognome: Cesare Prandelli. Ex juventino, ideatore del codice etico poi applicato con troppa discrezionalità, l’esatto opposto dell’integralismo visto quel che combinò agli ultimi Mondiali con l’impianto di gioco dei due play rinnegato nel match decisivo contro l’Uruguay. A qualcuno ricorda Donadoni, ad altri semplicemente provoca l’orticaria. 

Tutti, ma Prandelli no. Ora, per carità, qui non si fanno salti di gioia per Prandelli né tantomeno ci si strappa i capelli. Il Napoli ha bisogno di un allenatore. E magari anche di un direttore sportivo. Dalla scelta del tecnico, come abbiamo scritto, si capiranno i programmi futuri del presidente De Laurentiis. Se si orienterà verso un Napoli modello Gianturco-Bagnoli, come reclamato a gran voce dal Mattino, o se accetterà serenamente di essere nel 2015 di stare nell’Europa di Schengen.

Un po’ di cose però bisogna averle metabolizzate. Capiamo che Napoli si sente al centro del mondo, la realtà è ahinoi ben diversa. Noi (e per noi includiamo anche la versione del giornalismo italiano) possiamo serenamente parlare di fallimento di Benitez e così sentirci sollevati al pensiero che “qui nemmeno lui ce l’ha fatta, quindi facesse poco il professore”. La realtà – agli occhi di un mondo che vive lontano da Mergellina – è che lui oggi siede sulla panchina del Real. Poche domande si pongono sulle modalità dell’addio, sull’eliminazione della lingua italiana dal suo sito. Lo stesso mondo si chiede come mai a Napoli sia sotto processo anche un centravanti come Higuain che, per carità, quest’anno ci ha fatto soffrire non poco ma che comunque un po’ di corteggiatori li ha. 

Insomma, come al solito è una questione di punti di vista. Però uno sforzo va compiuto. Il resto del mondo ha qualche difficoltà a comprendere e far propria l’idea di un ambiente sfruttato e illuso e che da troppo tempo attende la meritata ricompnesa per tutti gli sforzi compiuti. Il sospetto è che altrove la nostra sia una versione che fa fatica a essere compresa. Temo che il resto del mondo ragioni diversamente. Anche in quell’Ajax oggi citato da Antonio Coppola. Per non parlare dell’Arsenal, del Manchester United (dove al termine del secondo anno nessuno ha dato del fallito a Ferguson). L’elenco è lunghissimo, non vale la pena proseguire. 

Ma noi stiamo a Napoli, direte. Va benissimo, per carità. È solo un’indicazione, un suggerimento. Se Klopp, Bielsa, Emery non si sono catapultati qui, un motivo ci sarà. Se Ancelotti ha detto no al ritorno al Milan dopo aver allenato Chelsea, Psg e Real, un motivo ci sarà. Se Capello ha più volte detto che il nostro campionato è poco allenante forse questo incide. Poi quest’anno abbiamo rialzato la testa in Europa ed è un buon segno. La Juventus domani si gioca la Champions, Napoli e Fiorentina sono arrivate a un passo dalla finale in Europa League. Ma è ancora poco. 

Ricordiamo che appena ieri De Laurentiis è stato accolto a Palazzo San Giacomo con la scritta “De Laurentiis infame”. Bazzecole, per carità. Però magari non tutti hanno questa voglia di ritrovarsi a lavorare in un ambiente in cui al primo passo falso vieni processato in pubblica piazza. E questo vale a Napoli come in gran parte d’Italia, tranne qualche rara isola felice come ad esempio Empoli.

È questo il contesto in cui ci muoviamo. E in questo contesto ci sta anche l’opzione Cesare Prandelli. Che piaccia o no, Benitez è stato un lusso. Un lusso, peraltro, che quasi nessuno rimpiange. La nostra dimensione è un’altra. Sarà bene cominciare a comprenderlo. Abbiamo provato a vivere al di sopra delle nostre possibilità ma non abbiamo retto. Non fa per noi. Però non storciamo il naso. È inutile, controproducente. E non ce lo possiamo nemmeno permettere. 

Per chiarezza, non amo Prandelli. Preferirei Montella. Ma contro il rimpianto di Cannavaro, nemmeno Mourinho potrebbe fare qualcosa. A proposito, sarà un caso questo ritorno di fiamma (giornalistico, eh si badi bene, solo giornalistico) per i fratelli Cannavaro, così come la sponsorizzazione di Lippi firmata Luciano Moggi, proprio ad opera di chi per due anni ha provato in ogni modo a infangare il lavoro di Benitez? Sicuramente sarà un caso e certamente i dietrologi siamo noi. Siamo noi che leggiamo una singolare sovrapposizione tra gli editoriali e gli slogan delle curve, noi che ci stupiamo di fronte a questo movimento mediatico del “Napoli ai napoletani”, in particolare ai Cannavaro. Noi che lo scrivemmo in tempi non sospetti (anche qui, e qui). Così è tutto più chiaro: editoriali mortificanti per i napoletani, trasmissioni tv al limite dell’osceno, una contestazione partita prima che cominciasse la stagione scorsa, e anche un vento nazionale anti-Benitez che soffia forte dalla tv di Murdoch.

Non dimentichiamo che Rafa Benitez è stato l’unico in Italia a schierarsi apertamente dalla parte di Zeman. E non leggemmo alcun editoriale sul Mattino. Così come non leggemmo nulla in sua difesa – anzi – quando venne squalificato per la frase “calcio italiano di merda”. Allora Napoli non era da difendere. È da difendere solo quando gli interessi collimano. Del resto, il refrain che da tempo si ascolta in città è sempre lo stesso: ‘o pappone vo’ magna’ sul’isso. E non va bene.          
Massimiliano Gallo

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