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Un problema chiamato centrocampo (ma non buttiamo Jorginho)

Un problema chiamato centrocampo (ma non buttiamo Jorginho)

Un problema chiamato centrocampo. Che poi è quasi la stessa cosa di un problema chiamato qualità. Dopo la gara d’andata col Dnipro s’è sentito da più parti dire che al posto di Jorginho (che, beccato dal pubblico, attraversa la fase del capro espiatorio) sarebbe stato meglio impiegare Inler. Più esperto, più freddo, abile nelle soluzioni dalla distanza, lo svizzero sarebbe preferibile all’italo-brasiliano. Deve averlo pensato anche Benitez, visto che ha schierato il numero 88 sia contro il Parma che nel retour match con gli ucraini. Con quali risultati, si è visto.

Non si vuole qui additare come colpevole di qualcosa Inler, il quale anzi nell’ultimo periodo (con picco a marzo) è nelle migliori condizioni da quando veste l’azzurro. Né ci sono gli strumenti per dire che con Jorginho in campo le cose sarebbero andate diversamente. Però rimane che la coppia di centrocampisti, qualunque sia l’avvicendamento tra i quattro mediani a disposizione, non è mai un’arma in più. Il Napoli difficilmente è superiore agli avversari in quello spicchio di campo, anche quando gioca contro Croce-Valdifiori o Mauri-Jorquera.

La questione non è di poco conto. Secondo statistiche pubblicate dalla Gazzetta dello Sport, sui 558 passaggi eseguiti a Kiev dal Napoli, solo il 78,7 per cento è andato a buon fine. Vuol dire che circa 1 su 5 è finito nel vuoto, tra i piedi degli avversari, in fallo laterale o oltre la linea di fondo. Certo, non tutti gli appoggi sbagliati vengono dai centrocampisti. Con Inler nella top five degli imprecisi ci sono Higuain, Insigne e Callejòn. Ma basta una pur approssimativa conoscenza del calcio per sapere quanto conta la linea mediana negli equilibri della squadra, nell’unione tra i reparti, nell’ordine del gioco e nella circolazione della palla. Diceva Trapattoni, uno che qualcosa ne capisce: “Le partite si vincono a centrocampo”. Il ciclo della Juve è iniziato quattro anni fa inserendo Pirlo e Vidal (cui poi si è aggiunto Pogba) al posto di Felipe Melo e Aquilani. Per il resto l’11 del primo scudetto di Conte non era molto diverso da quello fallimentare di Del Neri. Quando poi la Rosea ci ricorda che contro il Dnipro abbiamo eseguito 212 verticalizzazioni e 80 lanci in 98 minuti, sappiamo che non è stato per un’idea di calcio longitudinale, ma perché in mezzo al campo mancava il tessuto connettivo.

Adesso si metteranno in discussione le scelte tattiche di Benitez. “Con Hamsik avremmo avuto un uomo in più a centrocampo” e cose così. Mi astengo dal commentare. Dico però che in panchina ci può pure essere Mourinho posseduto dallo spirito di Bearzot, ma se in mezzo al campo non c’è qualità al massimo i tentativi di alzare il ritmo si trasformano in frenesia.

E qui la parola passa a De Laurentiis. Nell’estate del 2014 aspettavamo, prima del black out di mercato, l’acquisto di un top player a centrocampo. La situazione non è cambiata. E’ il centrocampo il primo settore su cui intervenire, indipendentemente da chi avrà la guida tecnica della squadra. E dirò di più, tra i quattro in rosa se c’è uno che terrei è proprio Jorginho. Ha 23 anni, intelligenza e piedi buoni. Alla sua età Andrea Pirlo, dopo cose buone alla Reggina, con l’Inter sembrava destinato alla parabola del talento inesploso. A rimetterlo in sesto ci ha pensato Carletto Mazzone, al Brescia. Diamogli tempo.
Roberto Procaccini

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