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I Green Bay Packers, modello virtuoso di azionariato popolare

I Green Bay Packers, modello virtuoso di azionariato popolare

“Mille euro da ogni tifoso per costruire un grande Napoli”. L a proposta lanciata qualche tempo fa da Aurelio De Laurentiis, apparentemente bizzarra se non opportunistica, potrebbe in realtà definirsi semplicemente inusuale. Soprattutto per il calcio italiano. Ma altri sport hanno invece dimostrato che l’azionariato popolare è una formula assolutamente vincente: non parliamo di sport qualsiasi ma del football americano, dove militano le franchigie più valutate del mondo e che vede l’atto finale nel Superbowl uno degli eventi mediatici (non solo sportivi) più visti del pianeta.

Nella Nfl militano dal 1919 i Green Bay Packers: pur rimanendo un caso unico nel panorama professionistico statunitense, i verdeoro del Wisconsin hanno dimostrato che l’azionariato  popolare può portare molto in alto. Anche nel Paese che è la massima espressione del capitalismo, dove vince sempre il più ricco, l’unione tra i tifosi può fare miracoli. I Packers sono infatti la terza squadra più vecchia della Nfl e, considerando i campionati precedenti all’istituzione del Superbowl (di cui hanno vinto le prime due edizioni, nel 1967 e 1968) la più titolata: 13 campionati in tutto, con 4 Superbowl di cui l’ultimo nel 2011. Contando solo i Superbowl, solo tre squadre ne hanno vinti di più: Pittsburgh Steelers, San Francisco 49ers e Dallas Cowboys. Tutti colossi finanziari, soprattutto Dallas che secondo Forbes è attualmente la franchigia più ricca della Nfl con un valore di 3,2 miliardi di dollari, quasi il triplo rispetto a Green Bay, tredicesima con 1,3 miliardi. Eppure proprio domenica scorsa i Packers hanno eliminato i Cowboys, rimanendo in corsa per il loro quinto Superbowl (sabato in programma la finale di conference contro Seattle).

La storia di Green Bay è ancora più interessante se si pensa al suo potenziale di partenza, che non è certo quello di Napoli: la cittadina situata sull’omonima baia del lago Michigan, a nord di Chicago e Milwaukee, conta appena 100 mila abitanti e d’inverno raggiunge una temperatura media giornaliera di -12°C. Eppure il Lambeau Field è uno dei pochi stadi non coperti della Nfl: ma i tifosi oltre ai soldi ci mettono anche la passione e nonostante freddo e neve i suoi 80mila posti (quasi quanti gli abitanti…) sono sempre gremiti. Gremiti di tifo ma anche, appunto, di sostegno materiale. E senza fini di lucro. Il modello “public company” nasce infatti già nel 1923, quando si era capito che un club così piccolo non sarebbe sopravvissuto nella giungla dei miliardari, ma da allora nessun tifoso-azionista ha toccato un dollaro: la struttura è rigorosamente no-profit e le vendite di azioni sono state ammesse negli anni solo per investimenti utili alla franchigia, come nel 1950 per la costruzione dello stadio e nel 1998 per la sua ristrutturazione.

Ad oggi i Green Bay Packers rimangono dunque l’unica società sportiva professionistica americana senza un proprietario unico e neanche un azionista di maggioranza: i soci sono più di 110mila e posseggono quasi 5.000.000 di azioni, nessuno di loro può però possederne più di 200.000, una misura per evitare appunto che un singolo possa assumere il controllo del club. Gli azionisti hanno diritto di eleggere un “Board of directors” con 45 membri, il quale nomina il Comitato esecutivo che di fatto guida il club. Solo il Presidente, però, ha diritto a un compenso economico, gli altri lavorano gratis. In caso venisse deciso di cedere la franchigia, i proventi non andrebbero agli azionisti ma alla Fondazione Green Bay Packers, attiva nel campo sociale, sanitario ed educativo. Se non è un modello sano e vincente questo…
Giuseppe Baselice

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