Siamo quasi alla campagna di disgregazione nei confronti del Napoli

Quel “cerchio magico” sul campo di Marassi voluto da Higuain come impegno di riscossa dopo Bilbao ha forse trovato proprio nel Pipita il leader in campo che mancava al Napoli dai tempi di Maradona e la vittoria sul Genoa ha stoppato una crisi annunciata da molti dopo l’eliminazione dalla Champions. Sembrava che tutto si raddrizzasse […]

Benitez

Quel “cerchio magico” sul campo di Marassi voluto da Higuain come impegno di riscossa dopo Bilbao ha forse trovato proprio nel Pipita il leader in campo che mancava al Napoli dai tempi di Maradona e la vittoria sul Genoa ha stoppato una crisi annunciata da molti dopo l’eliminazione dalla Champions. Sembrava che tutto si raddrizzasse nel Napoli pur continuando lo scarso credito degli abbonati (appena 6.500) a causa della perdurante delusione per la campagna-acquisti. E, invece, no. La sosta del campionato ha rimesso tutto in discussione. Lo spunto è stata la vacanza che Benitez si è concessa a Liverpool, dove ha casa la famiglia, profittando proprio della sosta. Illazioni, supposizioni e deduzioni sono fiorite in un baleno amplificate dai media da rasentare una vera e propria campagna di disgregazione nei confronti del Napoli. Tema ricorrente: fra Benitez e De Laurentiis è finito l’idillio, siamo alla rottura, l’allenatore abbandona la squadra. Di fronte alle continue variazioni su questo tema il Napoli ha smentito tutto con un lungo comunicato ufficiale. E’ la solita storia, a Napoli. L’ambiente è stato sempre disgregato, sospinto più da antipatie e gelosie che non da un sereno giudizio sulle cose azzurre. Ai tempi di Maradona, dissapori e contestazioni sfociarono nella “rivolta di maggio”. Negli anni la pressione del tifo non è stata sempre positiva per non parlare delle frange del “tifo organizzato” manovrate dalla società a favore o contro allenatori e giocatori. I media nazionali, poi, trattano il Napoli con la stessa pervicace ed esclusiva sottolineature delle cose negative, come fanno del resto nei confronti della stessa città. Eraldo Monzeglio, per sette anni sulla panchina azzurra, dal 1949 al 1956, aveva già capito tutto ai suoi tempi. Terzino campione del mondo con la nazionale di Pozzo, piemontese, scapolo, col terrore dei gatti neri e un anello di metallo all’anulare destro di indubbio valore scaramantico, abitava in un appartamento del Vomero. Timido con le donne, inviava fiori e cioccolatini alla velocista napoletana Marcella Jeandeau. Anticipò Herrera con perentorie scritte sui muri dello spogliatoio. “I diritti nascono dal dovere compiuto”. “Non è l’allenatore che fa una grande squadra, ma sono i giocatori che fanno grandi la squadra e l’allenatore”. Furono anni di tormenti societari, guerre di spogliatoio, subbuglio dei tifosi. Durante un Napoli-Torino al San Paolo, una bomba carta fu lanciata ed esplose davanti alla panchina sulla quale erano Pesaola, Monzeglio e Fiore. Monzeglio svenne e fu portato sanguinante in ospedale. Contestazioni d’altri tempi. Monzeglio aveva già pronunciato la frase che è bene ricordare oggi. Rivolto a un giovane cronista sportivo disse: “Dottorino, dottorino, a Napoli non farete mai niente di buono”. Di Napoli aveva capito tutto.

MIMMO CARRATELLI (tratto dal Corriere dello Sport)

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