I tifosi sono delusi. Ma il calcio è cambiato, l’era Maradona (e dei mecenati) è finita da un pezzo

Non siamo più un popolo di latin lover (il 75 per cento degli italiani teme un calo del desiderio) e non siamo più un popolo di tifosi azzurri (calo degli abbonamenti a 8.330 tessere per il campionato in corso). Per il desiderio pare che aiutino il ginseng, lo zafferano e le banane. Casanova faceva ampio […]

Maradona è stato la nostra Natascia

Non siamo più un popolo di latin lover (il 75 per cento degli italiani teme un calo del desiderio) e non siamo più un popolo di tifosi azzurri (calo degli abbonamenti a 8.330 tessere per il campionato in corso).

Per il desiderio pare che aiutino il ginseng, lo zafferano e le banane. Casanova faceva ampio uso del tartufo, Napoleone ricorreva agli asparagi.

Per arrestare il calo del desiderio azzurro servirebbero Cristiano Ronaldo e Lionel Messi. Ma sono arrivati Koulibaly, Michu, De Guzman e David Lopez. Il desiderio è calato.

Gli abbonati del Napoli sono scesi quasi al livello della stagione 2002-03 in serie B (6.806) dopo gli anni di Ferlaino, presidente Naldi, in fuga Corbelli, rumba di allenatori da Colomba, a Buso, Scoglio e ancora Colomba. Il Napoli si salvò dalla serie C per un punto grazie ai gol di Dionigi (19) e Stellone (8).

Che cosa succede oggi? C’è un presidente poco amato che guarda troppo al bilancio, non ama il rischio e non ha coraggio e fantasia. E il progetto Benitez sembra essersi fermato per le difficoltà del calciomercato.

Ma i tempi sono cambiati e sono tempi duri. La gestione familiare di Aurelio De Laurentiis vuole attivi di bilancio perché il presidente non rischierà mai in proprio (i mecenati o “ricchi scemi” sono scomparsi dal calcio italiano). Ci vorrebbe un socio miliardario, ma De Laurentiis, abituato a comandare, non vorrebbe mai un compagno di cordata. E se mai ce ne fosse uno, chi metterebbe soldi nel Napoli per lasciare comandare De Laurentiis?

La crisi del calcio italiano è nota. Nessuno compra ad alto livello e i campioni stranieri non sono più attratti dall’Italia che ha perso prestigio (due Mondiali consecutivi falliti, stenti e sconfitte nelle coppe europee) e paga poco. Un “colpo Maradona”, effettuato dalla tenacia di Antonio Juliano e dalle acrobazie economico-finanziarie di Ferlaino, non è più possibile. Oggi, chi trova un tesoro in casa se lo tiene. Non se l’è tenuto la Juventus che ha lasciato Zaza al Sassuolo e, se lo rivorrà, dovrà scucire 14 milioni.

La crisi economica dei club è sottolineata dai clamorosi cambi di dirigenza. Moratti si è arreso dopo 19 anni alla presidenza dell’Inter schiacciato dai debiti. Berlusconi ha chiuso i cordoni della borsa. Hanno mollato Cellini a Cagliari e i Garrone a Genova. Alla Roma, tramontati i regni di Viola e Sensi, è giunto l’americano, James Pallotta, uno degli uomini più ricchi di Boston, sostenuto da Walter Sabatini, un abile manager. Hanno comprato e venduto bene chiudendo però la campagna acquisti-cessioni con un disavanzo di 22 milioni. Solo la Lazio ha osato di più (-24,5 milioni).

Il Napoli ha chiuso in attivo di un paio di milioni.

Il popolo azzurro aspettava Mascherano, Benitez voleva Gonalons, voci su Kramer, Lucas Leiva è rimasto a Liverpool, l’attaccante colombiano Jackson Martinez del Porto è stato un sogno (Zapata resta l’alternativa a Higuain in attesa di capire in che ruolo giocherà Michu là davanti). Pare che a gennaio arriverà Alvaro Arbeloa, 31 anni, difensore del Real Madrid ed è tutto.

Da qui il calo del desiderio azzurro con il più basso numero di tessere dell’era De Laurentiis che pure aveva cominciato in serie C con 19.065 abbonati e toccò il record di 22.582 fedelissimi al San Paolo nel primo anno in serie A (2007-08) con la sfolgorante campagna di Pier Paolo Marino (Hamsik, Lavezzi, Gargano).

Il record negativo degli abbonamenti azzurri resta quello della stagione 2001-02, in serie B e nello sfacelo graduale del club, con appena 3.395 tessere. Fu l’anno in cui un nubifragio costrinse il Napoli a giocare una partita a Cava de’ Tirreni e sette a Benevento, allenatore De Canio nel pieno dissidio fra Ferlaino e Corbelli.

Lontanissimo il record dei 70.405 abbonati, l’anno in cui arrivò Savoldi (1975-76). Epoca d’oro quella con Maradona. Gli abbonati furono 388.372 nei sette anni di Diego (67.398 nella prima stagione, 1984-85). Il Napoli dei centomila cuori di Roberto Fiore sfiorò i settantamila abbonati con Sivori e Altafini in squadra (69.344 tessere nel campionato 1966-67).

Gloria passata e oggi è un altro calcio. Scompaiono club gloriosi. I fallimenti sono dietro la porta. Il Napoli è già fallito una volta e De Laurentiis non vuole correre lo stesso rischio. Gli basta tenere la squadra ai primi posti della classifica e giocare in Europa. Lo scudetto è un’ambizione che cozza contro molteplici difficoltà. E’ stato un miracolo (con Benitez) avere ricostruito una squadra competitiva dopo le cessioni di Lavezzi e Cavani.

Il danno della mancata qualificazione in Champions (30 milioni in fumo) ha frenato ancora di più il presidente azzurro. Oggi ci vogliono trenta, quaranta milioni per ingaggiare un top-player che trasformi la squadra da competitiva in vincente. Non ce ne sono di disponibili in giro.

Resta legittima la delusione dei tifosi. Avrebbero voluto un colpo di reni del presidente. E non c’è mai stato un grande feeling col Napoli di De Laurentiis. Gli abbonati sono calati stagione dopo stagione. Inarrestabile la discesa negli ultimi quattro anni: da 15.205 tessere del 2011-12 (secondo anno di Cavani) alle ottomila e poco più di oggi. Il secondo posto conquistato con Mazzarri nel 2012-13 portò l’anno successivo ad un lieve balzo degli abbonamenti (13.230, tremila più della stagione precedente). I biglietti non sono a buon mercato e la pay-tv sta svuotando gli stadi.

MIMMO CARRATELLI

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